Avvenire di Calabria

Questo il senso dell'intervento di monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio

Un secondo ellenismo per Sibari con il riconoscimento Unesco

Redazione Web

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Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». (Mc 4,30-34)

Nelle pagine degli antichi autori, dedicate a Sibari, si avverte sempre, come ha ben scritto Del Corno, una certa esecrazione degli eccessi, connessa ad un senso di opulenza che è stata la cifra identitaria della cittadina magnogreca e, forse, la sua stessa damnatio memoriae. Sibari, il fiore all’occhiello del Mediterraneo, la culla di una intramontabile civiltà, è stata il demiurgo di una cultura che si respira ancora oggi, passeggiando nei siti storici, nelle stanze del Museo Archeologico, sulla fertilità del suo territorio. Se dovessi ripensare, con una metafora a questa cittadina, penserei proprio a quel seme di senapa che è il più piccolo sulla terra ma che, con la giusta cura e devozione, fa rami tanto grandi da permettere agli uccelli di ripararsi. Oggi questa stessa terra fertile e lussureggiante, quella che ha scomodato Pitagora, nella storica contesa con i Crotonesi, chiede di restituire i frutti di preziosi germogli, fatti di storia, di studio, di impegno, di legami ancestrali con la fioritura di una ricerca continua. La richiesta del sindaco di Cassano, Gianni Papasso, di candidare Sibari a patrimonio dell’Unesco, mi sembra solo il giusto riconoscimento per un territorio così intriso di cultura, che ha sempre lavorato sulla sussistenza, accompagnandosi col sottofondo dell’arsura del sole, delle copiose alluvioni e di uno spirito comunitario vocato all’accoglienza.

Queste sono reminiscenze di secoli gloriosi che, a discapito di ciò che sembra, l’area della sibaritide non ha mai dimenticato, seppure non le appartengano più i fasti ed il lusso di quell’ellenismo che si è riconvertito in un forte attaccamento alle radici storiche.

Ritrovare lo splendore della polis, vorrà dire ritrovare dentro di noi, tutti, un senso di comunità che, come dice Papa Francesco deve essere “luogo dell’ascolto in cui l’ardore della carità prevalga sulla tentazione di una religiosità superficiale ed arida”. Riuscire ad identificare Sibari come sito di eccellenza storica e culturale, con il riconoscimento che merita, vorrebbe dire vincere su quella subcultura che dipinge la Calabria ed i Calabresi come inoperosi, mafiosi e subalterni. Perché esiste un’altra Calabria che vive della lentezza dei suoi paesaggi, del valore dei suoi siti naturali ed archeologici, della sua storia che non è la banalizzazione di una migrazione, ma la commozione di un ritorno eterno dell’uguale, come ci ha insegnato Nietzsche. A questa ciclicità del tempo, a cui è affidata una alternanza necessaria di penombra, si affida la volontà degli uomini che lottano per la cultura della luce.

Riconvertire la piana di Sibari ad eccellenza artistico-storico- culturale, significherà assistere all’interruzione di un ciclo e all’apertura di una epoca nuova, di un divenire rigoglioso che potrebbe interessare le nostre nuove generazioni, spingerle alla ricerca ed allo studio in loco, fare rete verso una diversificazione dell’eccellenza, agganciarli a questa terra che ha fame di menti meravigliose.

In tutto questo cammino, la Diocesi che ho la gioia di guidare, sarà sempre in apertura, come scuola di rispetto, vocata alla promozione dell’eccellenza, del dialogo e dell’accoglienza. La cultura, per me, sarà sempre la realtà che unitamente all’amore eccedente per l’altro, arricchirà i deserti interiori e porrà radici salde, nel terreno della vita, come quei semi di senapa che sono diventati, arbusti vigorosi.

+ Francesco Savino

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