Avvenire di Calabria

Ricchissimo pomeriggio a Palazzo Alvaro, sede della Città metropolitana di Reggio Calabria

«Una voce da dentro», presentato il libro di monsignor D’Anna

L'intervento di Bertolone: «Chi scegli di associarsi alla mafie, si autoesclude dalla Chiesa»

Federico Minniti

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

C'è un'umanità reclusa che va ascoltata: dietro ogni «passo falso» si nascondono storie di abbandono e fragilità. Così Una Voce da dentro, l'ultima fatica letteraria di monsignor Giacomo D'Anna è molto più di un lavoro intellettuale, ma rappresenta la sintesi più intima di una vocazione, quella al sacerdozio, spesa all'interno delle mura carcerarie per 14 lunghi anni di servizio.

 
Il pomeriggio del 25 giugno, quindi, rappresenta un momento di riflessione intenso, incarnato nei volti raccontati da monsignor D'Anna nel suo volume che - in tantissimi - hanno voluto accaparrarsi durante il convegno vissuto all'interno di Palazzo Alvaro, sede della Città metropolitana di Reggio Calabria. «Si tratta dello "sfogo" di un cuore che è stato accanto alla gente del carcere - ha detto l'autore - e vedere tutta queste persone - tra volontari, amici ed ex detenuti - alla presentazione di questo libro, mi commuove tanto».
 
Il sacerdote reggino ha aggiunto: «Un grande grazie va alla Chiesa diocesana che ha voluto garantire questa presenza negli istituti di pena». E, in particolare, monsignor D'Anna ha ricordato il sostegno iniziale di monsignor Vittorio Luigi Mondello, oggi arcivescovo emerito della diocesi reggina, che era presente in platea.
 
Ad aprire la presentazione del libro, ci sono stati una serie di pregevoli interventi istituzionali. Dal presidente del Consiglio regionale della Calabria, Nicola Irto, al sindaco del capoluogo, Giuseppe Falcomatà passando per l'arcivescovo di Reggio Calabria - Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini sino ad Agostino Siviglia, garante comunale per i diritti dei detenuti. A facilitare gli interventi è stato Emilio Campolo, coordinatore dell'area pedagogica del carcere "San Pietro".
 
«Un grande servizio di umanità cristiana», ha evidenziato monsignor Morosini che da sempre è accanto all'azione dei cappellani delle carceri reggine. Una condivisione ecclesiale apprezzata dall'uditorio composto in larga scala da parrocchiani che, da diversi anni, hanno deciso di vivere la propria azione di volontariato attraverso la Pastorale carceraria.

Centrali, poi, sono stati i contributi di riflessione - proposti all'uditorio interessato della sala verde intitolata al giornalista Francesco Perri - da Rosario Tortorella, provveditore vicario dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria, e monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro - Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabra.
 
Tortorella, nel presentare l'opera di monsignor D'Anna, ha sottolineato come «ha interpretato nel profondo il ruolo del cappellano arrivando laddove tutti gli altri scappavano. Ricordo l'esperienza di accompagnamento alle madri dei detenuti che si toglievano la vita: un momento di fortissima attenzione all'altro, alle sue fragilità, alle sue ferite più profonde».
 
Infine, la testimonianza sul Beato Pino Puglisi, il sacerdote assassinato a Brancaccio da Cosa Nostra all'inizio degli anni '90, di cui monsignor Bertolone è stato il postulatore per la Causa di beatificazione. «Don Pino aveva capito che doveva cambiare il paradigma culturale del contrasto alla criminalità organizzata: passare dall'attenzione agli uomini a quella ai ragazzi. Così il centro "Padre Nostro" ha scalzato i fratelli Graviano dal "trono" di Brancaccio. La mafia non teme chi parla, ma chi provoca un cambiamento coi fatti», ha spiegato monsignor Bertolone che ha proseguito dicendo come «la mafia o la 'ndrangheta sono delle strutture di peccato; chi si affilia, infatti, si autoesclude dalla Chiesa perché si sottopone a un altro battesimo. La scomunica dei mafiosi, quindi, è un fatto insito nella nostra fede».

«L'amore è più forte dell'errore; oggi don Pino è più vivo di ieri perché la sua vita ci inquieta - ha concluso il presidente della Cec nella sua relazione dal titolo “L’enigma della zizzania, il metodo Don Puglisi di fronte alle mafie” - ci sprona a prendere posizione: lui ha vinto col sorriso, vivendo da sacerdote, il suo impegno sociale».

Articoli Correlati