Avvenire di Calabria

La lettera agli universitari da parte della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della Cei

Università, Commissione Cei: «Mantenere dimensione comunitaria»

Gigliola Alfaro

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«Il fine dell’Università era – ed è – formare persone colte, capaci di farsi carico dei problemi di tutto l’uomo, in grado di mantenere una profonda visione di insieme che consentisse ad ogni studioso di comprendere il valore della propria disciplina all’interno dell’unità del sapere». Facendo riferimento alle parole di san John Henry Newman, lo ricordano i vescovi della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della Cei, guidata da monsignor Mariano Crociata, in una lettera agli universitari, in occasione dell'avvio del nuovo anno accademico, «in circostanze didattiche, sanitarie e sociali ancora assai particolari» per il Covid-19. «Le circostanze attuali, indotte dalla pandemia, ci hanno persuaso una volta di più che le soluzioni alle grandi emergenze sociali, ma anche umane e scientifiche, non si ottengono solo mediante conoscenze di ordine pragmatico, ma fanno appello anche ad una serie di virtù che si fondano in una dimensione sapienziale trasmessaci da tanti autori, sia umanisti sia uomini e donne di scienza - scrivono i vescovi - La solidarietà, l’amore alla verità, il sapere come servizio, la condivisione dei risultati scientifici, la prudenza, la capacità di perseverare nella ricerca del vero e del bene – solo per fare alcuni esempi – sono virtù e atteggiamenti propri di chi si forma con serietà nello studio e nella ricerca, dunque appartengono a una vera esperienza universitaria».
John Henry Newman, e con lui molti altri pensatori, ci ricordano che «l’Università possiede una insostituibile dimensione comunitaria: è comunità di studio e di vita, non solo luogo di apprendimenti strumentali. Sta anche a noi - osservano i presuli - far sì che le attuali circostanze della didattica on line, ben affrontate, non indeboliscano questa dimensione, ma ne rivelino aspetti inediti. Esse, infatti, ci danno la possibilità di raggiungere colleghi e docenti spazialmente lontani, di avviare metodologie innovative, di accedere a risorse più ricche». In questo senso, «impiegarle per la verità e per il bene vuol dire anche saper mantenere vivo lo stimolo per la profondità senza cedere alla tentazione di essere approssimativi; vuol dire aiutare chi resta indietro; vuol dire saper condividere il pane della scienza con gli altri e saper fare rete».

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