Avvenire di Calabria

Vent’anni dal Sinodo: «Esperienza unica da rivalorizzare»

L'arcivescovo emerito: «La grande ricchezza di questa esperienza è stata il largo coinvolgimento dei laici: ben 300»

Davide Imeneo

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Sono passati vent’anni dalla conclusione del Sinodo diocesano di Reggio Calabria – Bova, fortemente voluto dall’arcivescovo del tempo, oggi emerito, monsignor Vittorio Luigi Mondello.

Un’esperienza di fortissima comunità durante i lavori che, con un pizzico di amarezza, monsignor Mondello evidenzia come non abbia registrato gli effetti sperati. Non è mai troppo tardi, in verità, per riscoprire i documenti sinodali che rappresentano, per la Chiesa reggina–bovese, un grande patrimonio in termini di conoscenze del territorio, dei suoi bisogni e delle tantissime disposizioni in materia di catechesi, liturgia e pastorale.

Ne abbiamo parlato proprio con monsignor Vittorio Luigi Mondello che di quel Sinodo diocesano fu ispiratore lungimirante e promotore instancabile, grazie anche al prezioso sostegno di tantissimi laici e sacerdoti.

Vent’anni dalla conclusione del Sinodo diocesano. Un evento che, tra la fase preparatoria e la celebrazione in sé, è durato cinque anni. Cosa ricorda di quel tempo?
Furono anni bellissimi nei quali abbiamo lavorato intensamente con gioia, sia i membri che erano parte attiva del Sinodo sia le parrocchie dell’arcidiocesi di Reggio Calabria–Bova. La grande ricchezza di questa esperienza è rappresentata dal largo coinvolgimento dei laici: ben 300 componenti, considerando anche la massiccia adesione dei presbiteri, molti eletti dalla base e alcuni nominati dall’arcivescovo. Tutti, però, lavorarono con grande intensità in tutte le fasi per elaborare i documenti che furono portati alla discussione. L’impegno è stato massimo.

Quale criterio per costituire le commissioni?
Prima ho interpellato la comunità per capire quali erano i suggerimenti rispetto i temi da trattare. Abbiamo così scelto alcune urgenze pastorali che ci venivano segnalate per le quali abbiamo costituito quattro commissioni, suddivise in ante– preparatorie e preparatorie che lavorarono con una doppia verifica circa le interpellanze da discutere e le contromisure da adottare. All’interno delle commissioni vi erano dei sotto– organismi che trattavano alcuni aspetti peculiari rispetto al macrotema dibattuto dalla commissione stessa.
Tornando agli argomenti scelti, il Sinodo si è soffermato sulla fede e l’impegno della Chiesa, sulla carità e sui bisogni da colmare, sulla riforma delle parrocchie.

Restiamo sull’ultimo punto. Come mai – negli anni successivi – non si è riusciti a dare piena attuazione a quella revisione?
In realtà non si è riusciti a ottenere la completezza di quella riforma, ma grandi passi sono stati fatti. Perché non si è proceduto oltre? Delle volte alcune richieste teoricamente erano buone, ma nella pratica era di difficile applicazione.
Faccio un esempio concreto: la disponibilità di unire due parrocchie. Molte volte abbiamo avuto un reale consenso, altre volte no.

Facciamo un deciso passo indietro. Cosa l’ha ispirata per la convocazione del Sinodo diocesano?
L’idea venne dal Concilio Vaticano II che dava questo suggerimento. D’altra parte, personalmente venivo dall’esperienza di un Sinodo iniziato nella mia precedente diocesi. Così, queste due motivazioni mi spinsero ad avviarlo a Reggio Calabria, una Chiesa che aveva già conosciuto altre iniziative simili in passato.

Quanto di “stabilito” dal Sinodo poi è stato effettivamente realizzato?
Purtroppo, alcuni aspetti importanti non sono mai stati recepiti seppure l’arcivescovo e le commissioni si siano spinti a promuovere i documenti finali, questi sono rimasti poco messi in atto. Aggiungo: tante novità che vengono proposte oggi, in realtà, sono state gia discusse in quel Sinodo che è scarsamente preso in considerazione.

Eppure non sono mancate le azioni di prossimità dell’arcivescovo come le visite pastorali.
Ne feci una prima e due dopo lo svolgimento del Sinodo. L’idea è stata accettata, con grande entusiasmo, però spesso senza grande cognizione di causa. Gli atti sinodali non sono stati fatti conoscere alle parrocchie, spesso i libri sono stati smarriti.
Questo a conferma di una volontà di diffondere quelle disposizioni che non è mai realmente decollata.

Se dovesse sintetizzare quegli anni, quali sono i ricordi più belli?
Qualche anno dopo il nostro Sinodo abbiamo invitato padre Bartolomeo Sorge sul terzo documento, ossia sull’impegno della Chiesa reggina–bovese riguardo agli ultimi. Nel discorso di padre Sorge, egli continuamente citava quel documento affermando, tra l’altro, di non aver mai letto un Sinodo diocesano così approfondito come quello di Reggio Calabria. Oltre questo episodio, non posso non ricordare con gioia, tutti i collaboratori che mi hanno affiancato in questa esperienza: don Domenico Farias, Maria Mariotti, Franca Sesti, don Nino Iachino. Personalmente sono contento di aver vissuto ogni singolo momento di quella storia che credo possa essere riletta anche ai giorni nostri.

Articoli Correlati