
«Condizioni disumane». È lapidario il commento dei volontari presenti ai cancelli dell’ex Università di Giurisprudenza, trasformata in centro di prima accoglienza, e che, da diverse settimane, è stracolma di giovani vite giunte dalla parti più disparate del mondo. In quattrocento, perlopiù minorenni, dislocati in tre strutture, che ne potrebbero contenere «massimo cento», come ci conferma il consigliere delegato alla Protezione Civile del Comune di Reggio Calabria, Antonio Ruvolo. L’emergenza è tangibile e ieri mattina i giovani migranti hanno fatto esplodere la propria rabbia: barricati all’interno della struttura hanno preteso di avere un confronto con i responsabili della Prefettura, che poi è arrivato. Nervi a fior di pelle, ma nessun atto violento. Attorno a loro un cordone di sicurezza massiccio di forze dell’ordine per evitare che la protesta degenerasse. Così non è stato, seppure il clima ad Archi Cep rimane tesissimo. Un quartiere, quello del Centro Edilizia Popolare, tristemente simbolo del degrado causato da un’asfissiante presenza della ‘ndrangheta, che non sa come affrontare l’emergenza umanitaria dei migranti. «La gente è esasperata», ci dicono i ragazzi che prestano servizio. Ad essere impreparati, però, non sono solo i cittadini. La struttura, infatti, è sempre aperta: ventiquattro ore su ventiquattro, con la conseguenza che il controllo dei giovani migranti diventa quasi impossibile per gli uomini delle forze dell’ordine di vedetta. «Ci sono dieci bagni per quattrocento ragazzi - spiega il consigliere Ruvolo - e la gestione dislocata su tre centri è praticamente impossibile». Per fronteggiare l’emergenza è stato convocato un tavolo urgente tra Prefettura e Comune di Reggio Calabria. Il prefetto Sammartino ed il Sindaco Falcomatà hanno convenuto sulla necessità di trovare una collocazione adeguata per i minori, diversa da quella attuale. L’allarme per il centro accoglienza di Archi rimane ben oltre la protesta: i ragazzi sono abbandonati a sé stessi, con il solo volontariato a sostenere un peso gravoso. C’è una scuola di italiano nella parrocchia di Santo Stefano o dei pomeriggi di sport con il Centro Sportivo Italiano; c’è l’azione di carità del centro d’ascolto “Don Italo Calabrò”. Un sassolino nel mare della povertà. «Ad ogni sbarco, poi, dobbiamo ricominciare da zero - sottolinea Ruvolo - i migranti esausti finiscono per danneggiare la già precaria struttura a nostra disposizione, come le brandine pieghevoli spesso divelte in segno di protesta». Il sistema si è «collassato», affermano i primi avamposti istituzionali sul territorio tra scoramento e delusione. L’emergenza sbarchi non può essere risanata con cure palliative, ma urgono interventi radicali. «Oggi avremo un altro tavolo aperto alle associazioni di volontariato per intensificare la presenza di agenzie educative nel centro. Di certo è necessario un provvedimento urgente del Governo, essendo le strutture per minori non accompagnati tutte ormai sature», conclude il delegato alla Protezione Civile. Seppure la protesta dei giovani sia rientrata, molti di loro hanno passato la nottata - ancora una volta - per terra.