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In occasione della Giornata Mondiale della Sindrome di Asperger abbiamo intervistato Valerio Bascià, Neuropsichiatra infantile e Responsabile del Centro di Riabilitazione ambulatoriale e diurno della Piccola Opera Papa Giovanni.
La sindrome di Asperger rientra nello spettro autistico in una dimensione di continuità con l’autismo “classico”, pur avendo caratteristiche funzionali diverse. Le persone con autismo hanno difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale, con problemi nel contatto visivo, nell’uso della gestualità e nell’adattamento ai contesti. Spesso presentano comportamenti ripetitivi, interessi ristretti e una sensibilità particolare agli stimoli sensoriali.
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Nel caso della sindrome di Asperger, lo sviluppo cognitivo e linguistico non è compromesso, ma persistono difficoltà nella comunicazione non verbale e nelle relazioni sociali.
Le persone con questa sindrome tendono a interpretare il linguaggio in modo letterale, faticando a cogliere ironia e doppi sensi. Inoltre, sono molto legate alla routine e mostrano interessi specifici, spesso approfonditi in modo dettagliato.
I primi segnali possono essere colti tra i 12 e i 18 mesi. Si notano spesso un arresto nello sviluppo e una successiva regressione, soprattutto nel linguaggio. Il bambino può compiere movimenti ripetitivi e non funzionali, non utilizzare i gesti, non rispondere quando viene chiamato o farlo in modo incostante. Anche la qualità delle relazioni con gli altri risulta compromessa: manca il gioco attivo e condiviso e si nota un ridotto interesse verso l’ambiente circostante. Questi segnali sono più facilmente individuati dai genitori che hanno già altri figli, perché riescono a cogliere meglio le differenze rispetto a uno sviluppo tipico. In ogni caso, all’inizio i segnali possono essere sfumati e difficili da riconoscere.
Ricevere una diagnosi di disturbo dello spettro autistico rappresenta una grande difficoltà per la famiglia, ancora più complessa rispetto ad altre disabilità, a causa delle peculiarità di questa condizione. Le difficoltà nelle relazioni, l’adattamento a situazioni nuove e l’impatto sulla vita familiare sono elementi che rendono il percorso particolarmente sfidante.
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Il primo supporto fondamentale è quello affettivo e familiare, ma è altrettanto essenziale affidarsi a percorsi terapeutici e diagnostici validati scientificamente, seguendo le linee guida riconosciute. Un altro aspetto cruciale è la costruzione di una rete di alleanze terapeutiche e sociali, coinvolgendo medici, terapisti, psicologi, insegnanti ed educatori, per una condivisione di informazioni che aiuta a sostenere al meglio il percorso di crescita del bambino.
Le istituzioni, in particolare la scuola, hanno un ruolo fondamentale nella vita dei bambini con disturbo dello spettro autistico. Oltre a favorire lo sviluppo di competenze cognitive e di apprendimento, la scuola è una vera e propria palestra sociale, dove il bambino può migliorare la capacità di relazione, la comunicazione funzionale, lo scambio con gli altri e i livelli di empatia. Affinché il supporto sia efficace, è essenziale che scuole e istituzioni si confrontino, per porre al centro della loro azione il benessere del bambino e della sua famiglia. Tra le buone pratiche, una delle parole chiave è “conoscere”: è fondamentale acquisire una comprensione approfondita dell’autismo per affrontarlo in modo corretto, evitando visioni parziali o superficiali.
Tutte le attività in cui il bambino possa divertirsi, trovare stimoli e avere relazioni con i coetanei sono utili. Una volta definito il programma delle attività, è essenziale condividerlo con la famiglia, che non è un soggetto passivo, ma parte attiva e fondamentale di tutto il percorso.
Oltre al coinvolgimento familiare, è altrettanto importante confrontarsi con le altre realtà territoriali, come i servizi sanitari, i centri di riabilitazione e i servizi sociali, per utilizzare modalità e strategie funzionali nell’interazione con i l bambino, in modo le esperienze proposte diventino elemento di rinforzo del percorso di sviluppo.
Se il bambino partecipa con entusiasmo, trova motivazione e ha la possibilità di interagire con un gruppo di pari in modo adeguato, l’esperienza sarà positiva. Anche nelle attività complementari è fondamentale seguire criteri basati su conoscenze cliniche, ad esempio per la gestione di comportamenti problematici o l’uso di strumenti come l’agenda visiva o la comunicazione aumentativa alternativa. Pur non essendo direttamente riabilitative, queste esperienze possono favorire lo sviluppo del bambino, diventando un’occasione naturale per applicare strategie di comunicazione e interventi utili alla sua crescita e al suo benessere.
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