Chi è l’arcivescovo Antonio De Ricci, l’uomo che fece rinascere la diocesi reggina
Si distinse per l’attenzione ai monasteri basiliani, in particolare a Santa Domenica di Gallico e San Nicola di Calamizzi
di Pasquale Triulcio
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Restaurò la facciata della Cattedrale e ne fece costruire la torre campanaria nel 1476
Una ricerca di Michela Tarallo “Santa Maria di Monteoliveto a Napoli, dalla fondazione (1411) alla soppressione monastica: topografia e allestimenti liturgici” del 2014, dimostra quanto ci sia ancora da studiare e scoprire circa la storia della nostra Arcidiocesi, in particolare sull’arcivescovo Antonio (de) Ricci ed al termine del breve contributo ne capiremo il motivo.
Alcuni storici del passato come il Guarna Logoteta e il Taccone-Gallucci, dietro l’Ughelli, dicono Antonio (de) Ricci “napoletano”; ma la dizione – secondo il Russo – deve essere presa in senso lato, perché nel Registro camerale egli è detto «de Castro Maris», cioè di Castellammare di Stabia. Era suddiacono, quando, il 4 giugno del 1453, fu inviato alla Sede di Reggio, dove sceglie – dato non scontato – di risiedere. In questo periodo, i monasteri, specialmente quello di S. Nicola Calamizzi, costituiscono un’oasi, rispetto alla generale decadenza, come si rileva dalla Visita di Atanasio Calceopulo, voluta da Callisto III.
Il 3 ottobre 1457, egli aveva già visitato cinque monasteri, senza aver incontrato l’arcivescovo di Reggio, il quale se ne lamentò, inviando al Calceopulo una missiva. L’incidente si chiuse il giorno dopo, con la visita dell’archimandrita al Ricci, «cum quo declaravimus omnia et restitimus in bona concordia». Mentre la crisi del monachismo greco era accentuata dall’istituto della commenda, si consolidava la presenza degli Ordini religiosi.
Figura eminente, che si afferma durante il governo di Mons. Ricci, è Fra Matteo Saraceni(o) da Reggio, francescano, eletto arcivescovo di Rossano. Vengono eretti monasteri femminili. Il Papa Sisto IV nel 1472, accogliendo le richieste dell’arcivescovo, autorizzò la fondazione di un monastero di Clarisse, sotto la guida di Santa Eustochio Calafato da Messina. Questa fa se è segnata da diatribe con gli ebrei (giurisdizione sulla «Judeca») e con alcuni suffraganei (di Cassano e di Gerace-Oppido). Del Pastore si deve ricordare il restauro della parte anteriore del Duomo, che minacciava rovina. Gli si deve anche la costruzione della torre campanaria nel 1476. Se le opere murarie, sono andate distrutte, si è invece salvato il magnifico Pastorale lavorato plausibilmente a Napoli. Alla base sembra essere cesellato il nome dell’arcivescovo.
Egli morì nel 1490 in Napoli e fu sepolto nella chiesa monumentale di Monteoliveto. L’Ughelli afferma che nel 1491 gli fu dedicato un monumento funebre dal nipote Pierluigi, il quale – nell’iscrizione – vi associò la memoria del padre, Michele: Antonio Riccio Archiepiscopo Rhegino, Et Michaeli Riccio militi, patruo et Jureconsulto clarissimo, et patri bene M(erenti), Perloisius Riccius V. J. D Sacrum hoc consti tuit MCCCCXCI. Il citato studio della Dott.ssa Tarallo, alle pagine 237 e 265, sembra fugare ogni dubbio – a fronte delle perplessità manifestate da alcuni studiosi in passato – circa l’ubicazione del sepolcro dell’indimenticato “Antonio Riccio Archiepiscopo Rhegino”.
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