Avvenire di Calabria

Una visione che anticipa i rischi di una società governata da algoritmi e logiche di mercato

Una profezia culturale tra consumismo e omologazione

La denuncia di Pasolini su capitalismo, edonismo e borghesizzazione della politica resta attuale

di Marino Pagano* e Angelo Palmieri**

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Pier Paolo Pasolini è davvero una delle figure più controverse e lucide del Novecento italiano. Poeta, regista, romanziere e polemista, la sua opera è un viaggio inquieto nelle pieghe della società moderna. A quasi cinquant'anni dalla sua tragica morte, il suo pensiero non solo non ha perso rilevanza, ma appare come una profezia compiuta. Il capitalismo sfrenato, l’edonismo come valore assoluto, la cultura borghese che omologa ogni diversità: tutti elementi che Pasolini denunciava con forza e che oggi emergono con una chiarezza quasi smobilitante.

Pasolini denunciava il capitalismo come una forma di potere pervasivo, capace di soggiogare non solo le istituzioni, ma anche le coscienze. Nel suo celebre articolo del 1975, Il vuoto del potere in Italia, scritto nel pieno delle trasformazioni economiche e sociali del boom italiano, descriveva il consumismo come un nuovo totalitarismo, più subdolo di ogni regime autoritario: «La tolleranza della civiltà consumistica è la peggiore intolleranza. Perché soffoca le coscienze con le cose, con il benessere, con l'omologazione».

Questa osservazione, contenuta nei suoi Scritti corsari, suona ancora oggi come una descrizione profetica di una società governata dalle perverse logiche di mercato, da fenomeni di imitazione sociale, da barbari e imbarbariti in nome del denaro.



Questa analisi sembra descrivere perfettamente una società globale dove il potere economico si presenta come "libertà di scelta", mentre di fatto uniforma gusti, desideri e aspirazioni. La proliferazione di piattaforme digitali, le tecniche di marketing personalizzato e la dipendenza dal consumo confermano l'intuizione pasoliniana: il capitale non solo regola i nostri comportamenti, ma plasma le nostre identità. Era un’intuizione, per la verità, proveniente dalla logica marxiana dell’alienazione ma che Pasolini sposava anche a contenuti arcaici, ancestrali, sacri.

Un altro aspetto centrale nel pensiero di Pasolini è, infatti, la critica all’edonismo come perno della società moderna. Egli vedeva nell’edonismo una forza corrosiva, che svuotava i valori tradizionali e trasformava l'individuo. Pasolini denunciava, principalmente, gli aspetti seduttivi di tutto ciò. Oggi, questa seduzione si manifesta, forse, attraverso algoritmi personalizzati, notifiche continue – quasi l’urgenza di un controllo altrui e nostro verso noi stessi! – e l'incessante bisogno di condividere esperienze sui social media.


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Una cultura del piacere immediato che si manifesta nella ricerca ossessiva di apparenza, successo e gratificazione istantanea. L’edonismo, diceva Pasolini, non arricchisce l’uomo, ma lo impoverisce, riducendolo a spettatore passivo di una vita governata da forze esterne.

Il concetto di "mutazione antropologica", uno dei più noti della riflessione pasoliniana, descriveva il cambiamento profondo dell'essere umano sotto l’influenza del progresso tecnologico e della società dei consumi. Pasolini vedeva la fine delle culture popolari come un segnale di questa trasformazione: «Abbiamo distrutto le culture particolari, le lingue, le tradizioni. Le abbiamo sostituite con un’unica cultura, volgare e commerciale» (ancora dagli Scritti corsari). Una cultura evidentemente evanescente, svuotata di ogni criterio simbolico in grado di orientare eticamente l’agire.

Le comunità tradizionali, un tempo radicate in valori condivisi, cedono il passo a individui isolati, persi in un mare di informazioni frammentarie. La libertà di pensiero era per Pasolini un valore assoluto. Questo lo rendeva una figura scomoda sia per la destra in doppiopetto che per una sinistra incapace di rappresentare autenticamente i ceti popolari.

Egli denunciava la borghesizzazione della politica, in cui gli ideali venivano sacrificati sull’altare del consenso. «Il vero scandalo è che non c'è scandalo. La società borghese è così omologante che ha svuotato ogni gesto di dissenso», così Pasolini, ancora dagli Scritti corsari.

Pasolini amava il mondo popolare, che considerava il custode di una saggezza autentica e non contaminata, un patrimonio di valori e tradizioni capace di resistere alle logiche del potere sradicante. Nella sua poetica, il popolo rappresentava un baluardo contro la perdita di identità collettiva. Ne ammirava la semplicità, la resistenza al potere uniforme e la capacità di vivere secondo valori profondi.

Oggi, i ceti popolari sono spesso marginalizzati, vittime di un sistema economico che li esclude e di una narrazione culturale che sembra ignorarli. La sua difesa appassionata dei più deboli appare ancora come un appello urgente, a fronte di una politica parolaia e propagandistica. Pasolini, dunque, come profeta, di sicuro uomo capace di anticipare le trasformazioni che oggi viviamo.



Il suo pensiero ci sfida a guardare oltre le apparenze, a denunciare le ingiustizie e a difendere la dignità umana contro certe logiche di un certo potere. In un tempo di mutamenti radicali, la sua voce risuona più forte che mai, ricordandoci che il vero progresso non è nella tecnica o nel consumo, ma nella capacità di conservare niente altro che la nostra stessa umanità, che resta unica e irriproducibile.

Concludiamo con una delle sue riflessioni più “urgenti”, tratta sempre dagli Scritti corsari: «Il progresso non è mai semplice accumulo di ricchezza e tecnologia. È il coraggio di essere diversi, di restare fedeli a ciò che siamo, contro ogni forza che ci vuole uguali».

*giornalista, saggista      ** sociologo, educatore di comunità

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