
Il libro della settimana: Alvaro, il sanluchese che ha abbracciato il mondo scrivendo
Per abbracciare la vita intera di Alvaro, l’autrice parte dalla fine, dai giorni della sofferenza,
Era il 1895 quando Alvaro nasceva a San Luca, ai piedi dell’Aspromonte, eppure il suo sguardo ci parla ancora
«A un luogo, tra tutti, si dà un significato assoluto», scriveva Cesare Pavese. Per Corrado Alvaro, quel luogo fu la Calabria. Una terra difficile e amata, ferita e fertile di memoria. Ma il merito di Alvaro fu quello di non farne mai un altare o una cartolina. La raccontò in modo onesto e lucido – nelle sue miserie, nella marginalità, nei silenzi duri dei contadini – ma senza mai sminuirla. Anzi: la elevò, facendone un simbolo di resistenza e dignità. E proprio nel segno di questo legame indissolubile, in occasione del 130° anniversario dalla sua nascita, la Fondazione Corrado Alvaro, l’associazione culturale Anassilaos e la Biblioteca Pietro De Nava, in collaborazione con il Cis Calabria e il Comune di Reggio Calabria, hanno promosso le Giornate Alvariane: un ciclo di eventi per celebrare non solo l’autore, ma l’uomo, il testimone, il pensatore scomodo.
Era il 1895 quando Alvaro nasceva a San Luca, ai piedi dell’Aspromonte, eppure il suo sguardo ci parla ancora. In un’Italia che fatica a tenere insieme memoria e futuro, cultura e coscienza civile, Corrado Alvaro torna a farci visita – o forse non se n’è mai andato davvero. Non fu solo un prolifico autore, giornalista, traduttore, sceneggiatore e critico teatrale. Fu, soprattutto, una coscienza vigile in tempi torbidi. Intellettuale irregolare, contrario a ogni forma di servilismo, firmò nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce, subendo minacce, censura, isolamento. Quando il clima diventò invivibile, scelse l’esilio volontario, girando l’Europa e scrivendo articoli e racconti che oggi appaiono come cronache dell’anima. Il Premio Strega vinto nel 1951 con “Quasi una vita” segnò uno dei vertici della sua carriera.
La sua terra natale, l’Aspromonte, e il piccolo paese di San Luca, però, sono sempre rimasti il centro simbolico della sua esistenza. La sua inquietudine nostalgica emerge in una delle sue opere più autentiche, Un treno nel Sud. È qui, nel capitolo «Viaggio o fuga», che scrive: «Fuggiamo da luogo a luogo cercando un’intimità che non troviamo, perché questo non è più il nostro mondo (…) Nessuno ci caccia o ci perseguita. Ma noi fuggiamo. Ci affacciamo un istante sulla vita tranquilla di gente che non si muoverà mai, e questo ci spaventa, temiamo di restare prigionieri. E fuggiamo rimpiangendo quell’angolo della terra». La Calabria, nei suoi scritti, è molto più di uno sfondo: è luogo dell’anima, mito originario, specchio dell’identità collettiva smarrita. Lo si ritrova chiaramente, ancora una volta, in Un treno nel Sud, quando descrive i tratti tipici dei calabresi: la dignità, il riserbo. E annota un pensiero che ancora oggi ci interpella: «Il calabrese vuole essere parlato. Bisogna parlargli come a un uomo che ha sentimenti, bisogni, affetti: insomma, come a un uomo».
E poi ancora paesaggi duri, uomini semplici, pastori, e un senso profondo di destino e isolamento attraversano racconti come L’amata alla finestra (1929), Gente in Aspromonte (1930) e Incontri d’amore (1940). Chi legge Gente in Aspromonte non può dimenticare il silenzio dignitoso dei contadini, la rabbia che si fa destino, lo sguardo basso e fiero dei pastori. Corrado Alvaro tornò a San Luca per l’ultima volta nel 1941, per seppellire il padre. Poi, a Caraffa del Bianco, dalla madre e dal fratello don Massimo, parroco del paese. Corrado Alvaro morì a Roma l’11 giugno 1956. A distanza di oltre mezzo secolo, ci accorgiamo che la sua voce non ha perso intensità. Ecco perché l’Anno Alvariano non è una celebrazione, ma un’opportunità. Per tornare a San Luca non con pietà, ma con rispetto. Per restituire senso alla scrittura come strumento di comprensione e non di compiacimento.
Nato il 15 aprile 1895 a San Luca, un piccolo paese ai piedi dell’Aspromonte, in Calabria, l’infanzia di Corrado Alvaro Figlio di un maestro elementare, trascorse in un ambiente rurale che avrebbe profondamente influenzato la sua produzione letteraria. Dopo gli studi liceali, partecipò alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di fanteria, esperienza che ispirò la sua raccolta poetica Poesie grigioverdi. Terminata la guerra, Alvaro intraprese la carriera giornalistica collaborando con importanti testate come Il Resto del Carlino, Corriere della Sera e Il Mondo. Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce, manifestando apertamente la sua opposizione al regime.
Durante gli anni ‘30 viaggiò come inviato speciale in diversi paesi, tra cui Germania, Turchia e Unione Sovietica, esperienze che influenzarono profondamente la sua visione del mondo e la sua produzione letteraria. La sua opera più celebre, Gente in Aspromonte, è una raccolta di racconti che denuncia la condizione di sfruttamento dei contadini calabresi da parte dei latifondisti; opera che gli valse il premio letterario de La Stampa nel 1931 e lo consacrò come uno dei principali esponenti della narrativa meridionalista. Nel 1938 pubblicò L’uomo è forte, un romanzo ispirato al suo viaggio in Unione Sovietica, che rappresenta una critica al totalitarismo e alla soppressione dell’individuo.
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Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Alvaro continuò la sua attività giornalistica e letteraria, assumendo ruoli di rilievo come la direzione del giornale Il Risorgimento e la segreteria del Sindacato Nazionale Scrittori, da lui co-fondato nel 1945. Nel 1951 vinse il prestigioso Premio Strega con il romanzo Quasi una vita, un’opera autobiografica che riflette sulle esperienze e le contraddizioni della sua esistenza. Corrado Alvaro morì l’11 giugno 1956 a Roma, lasciando un’eredità culturale significativa che continua a influenzare la letteratura italiana contemporanea.
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