
Parlare di dialogo ebraico - cristiano per noi di Reggio significa tenere ben presente il legame che unisce storicamente il popolo giudaico alla città reggina. Mi piace ricordare la leggenda, riportata dallo Spanò-Bolani nella Storia di Reggio Calabria, che farebbe risalire la fondazione di Reggio ad un pronipote di Noè, un certo Aschenez in fuga dal proprio paese. Questa leggenda, oggi dimenticata dai più, era un tempo viva nell’immaginario popolare, tant’è che una delle vie cittadine è intitolata proprio a questo personaggio. Al di là della suggestione leggendaria, è storicamente documentato che a Reggio si insediò e visse una comunità ebraica a partire dai primi secoli dell’era cristiana. A dimostrazione di questa tesi, in molti luoghi si conserva una toponomastica ebraica nei quartieri abitati dagli Ebrei (ricordiamo in particolare la via Giudecca), e si parla anche della possibile presenza di una Sinagoga destinata al culto di questa comunità, documentata da un frammento di iscrizione greca, nel secolo IV, tanto che si pensa la lingua degli ebrei di Reggio era il greco.
Si dice anche della presenza di una Sinagoga a San Pasquale di Bova Marina, riconosciuta tale grazie al ritrovamento di uno straordinario mosaico che ritrae una menorah, il candelabro a sette bracci. A Reggio fu stampata la prima opera in ebraico, il commento di Rashi alla Torah; calabrese fu Chayim Vital Calabrese, grande studioso della Kabbalah. Inoltre, nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria impegnati nel lavoro della seta, fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo. Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei sparirono, e ritornarono nella triste circostanza dell’internamento a Ferramenti. Oggi ci sono isolate presenze, ma d'estate la “Riviera dei Cedri” (in particolare i comuni di Scalea, Santa Maria del Cedro e Diamante) si popola di rabbini che vengono, addirittura dagli Stati Uniti, a raccogliere il Cedro per la celebrazione della Festa delle Capanne (Sukkoth).
Il Concilio Vaticano II, il Nostra aetate
Il dialogo Ebraico Cristino è un frutto del Concilio Vaticano II e ha le sue radici nel decreto conciliare Nostra aetate. Certo si tratta di un documento che interessa principalmente la Chiesa cattolica, ma che, tuttavia, ha inaugurato un cammino che solo pochi anni prima sarebbe stato impensabile. Un documento inoltre che, in qualche modo, è il risultato di un dialogo già iniziato e di un impegno che ha coinvolto anche un ebreo come Jules Isaac, sostenuto da Maria Vingiani per poter incontrare personalmente Giovanni XXIII. Due pionieri del dialogo. Il documento conciliare parla del rapporto con l’ebraismo al n. 4, che così si esprime: Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.
Il Concilio quindi riconosce nel mistero stesso della Chiesa il legame con il popolo Ebraico e quindi anche i fondamenti del dialogo tra cristiani ed ebrei. Il dialogo con l’ebraismo dal Concilio in poi non è più qualche cosa di occasionale, ma appartiene alla sua stessa identità, al suo «mistero». Indubbiamente il numero dedicato al popolo ebraico di Nostra aetate, che pure potrebbe essere riscritto a partire dai passi fatti in questi non pochi anni, ha segnato un cammino molto significativo nel rapporto tra ebrei e cristiani che ha portato i suoi frutti nel post-concilio. Molti sono, infatti, i pronunciamenti e i gesti compiuti durante i pontificati di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di papa Francesco. Basti pensare al grande gesto inaugurato da Giovanni Paolo II e proseguito poi dai suoi successori. Nel 1986 per la prima volta un Papa varcava la soglia di una Sinagoga.
Dialogo ebrei-cristiani, il passo avanti del 2015
Un passo avanti e in continuità con il decreto conciliare, è la pubblicazione nel 2015 di un documento molto significativo redatto dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo dal titolo «Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29), emanato proprio a cinquant’anni dalla promulgazione di Nostra aetate. Pertanto è importante domandarsi quali gli obiettivi del dialogo con l’Ebraismo? Il primo sicuramente è la conoscenza reciproca: si può amare soltanto ciò che si è imparato gradualmente a conoscere e si può conoscere realmente e profondamente soltanto ciò che si ama. Questa conoscenza approfondita si accompagna sempre ad un mutuo arricchimento, nel quale i partner di dialogo diventano i destinatari dei rispettivi doni. Questa conoscenza, però non può essere riservata agli addetti ai lavori, non riguarda solo gli esperti e coloro che sono direttamente impegnati nel dialogo. È importante che nel campo della formazione, a vari livelli, si includano nei curricula sia Nostra aetate che i documenti successivi della Santa Sede sull’attuazione della Dichiarazione conciliare. I cambiamenti fondamentali nelle relazioni tra cristiani ed ebrei introdotti dal decreto conciliare devono essere resi noti anche alle generazioni future, accolti e divulgati nella pastorale ordinaria.
Obiettivo del dialogo è inoltre la possibilità di un impegno comune nel mondo di oggi. In particolare «a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo». Il dialogo deve inoltre portare a una lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo, il quale certamente non è ancora stato sradicato e riaffiora in modi diversi in vari contesti. La storia ci insegna dove possono condurre perfino queste forme di antisemitismo: alla tragedia umana della Shoah, in cui due terzi degli ebrei europei sono stati annientati. Entrambe le tradizioni di fede sono chiamate, insieme, a mantenere sempre sveglie vigilanza e sensibilità, anche nell’ambito sociale, per respingere le tendenze antisemite. Il cardinale Martini ricordava: “molte volte ho avuto occasione di ripetere che non basta evitare ogni sentimento antisemita. Bisogna giungere ad amare il popolo ebraico con tutte le espressioni della sua vita e cultura: la sua letteratura, la sua arte, il suo folklore, la sua religiosità. Soltanto allora si può giungere a stabilire quei legami che permettono non solo di superare diffidenze e pregiudizi ma di collaborare per il bene comune dell’umanità”.
La cultura del rispetto inizia dalla revisione del linguaggio
Infine, non è di secondaria importanza una revisione del linguaggio. Nella nostra catechesi, soprattutto nella predicazione ci sono ancora troppe semplificazioni, che non aiutano, non solo a coltivare il dialogo tra ebrei e cristiani, ma nemmeno a vivere pienamente la nostra fede cristiana. La purificazione del linguaggio significa sradicare ogni traccia di quella «insegnamento del disprezzo» e «dell’odio» che nella storia ha provocato tanti lutti e efferati delitti. Soprattutto oggi, con il minaccioso riaffacciarsi di atteggiamenti, parole e gesti antisemiti, camuffati come cose normali e innocue, la purificazione del linguaggio e la cura della memoria sono indispensabili per sconfiggere le nuove sfide contro ogni forma di razzismo e di rifiuto dell’altro. Bisogna educare per questo le nuove generazioni.
Papa Francesco ad una udienza del Mercoledì ha detto: Il popolo ebraico ha sofferto tanto nella storia. È stato cacciato via, perseguitato. Nel secolo scorso abbiamo visto tante, tante brutalità che hanno fatto al popolo ebraico e tutti eravamo convinti che questo fosse finito. Ma oggi incomincia a rinascere qua, là, là, l’abitudine di perseguitare gli ebrei. Fratelli e sorelle, questo non è né umano né cristiano. Un cristiano non può mai essere un antisemita, soprattutto a motivo delle radici ebraiche del cristianesimo. Gli ebrei sono fratelli nostri!
PER APPROFONDIRE: L’Eparchia di Lungro lavora sul dialogo interreligioso con i fratelli ebrei
Sono 33 anni che l’Ufficio per l’ecumenismo ed il dialogo della CEI promuove la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio), L’approfondimento di quest’anno è stato su “Realizzerò la mia buona promessa” (Ger 29, 10). Negli ultimi anni i temi del dialogo sono stati dedicati alle Dieci parole e alle Meghilloth; ora, alla luce della pandemia e delle sue conseguenze, è stato intrapreso un cammino sulla Profezia.
Dunque, approfondire il dialogo in lealtà e amicizia tra ebrei e cristiani, nel rispetto delle intime convinzioni degli uni e degli altri, significa condividere ciò che abbiamo in comune, come “grande patrimonio spirituale”. Shalom.
*presidente della Comunità del diaconato in Italia