Avvenire di Calabria

Nato a Pellaro, il 2 luglio 1941, monsignor Antonino Iachino festeggia ottanta primavere vissute al servizio della Chiesa reggina

Don Iachino festeggia ottant’anni: gli auguri della diocesi

Vi proponiamo i suoi ricordi di monsignor Giovanni Ferro, don Italo Calabrò e dei primi passi dalle Caritas sul territorio diocesano

di Federico Minniti

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Don Iachino festeggia ottant'anni: gli auguri della diocesi. Nato a Pellaro, il 2 luglio 1941, monsignor Antonino Iachino festeggia ottanta primavere vissute al servizio della Chiesa reggina.

Don Iachino festeggia ottant'anni

Ordinato sacerdote cinquantacinque anni fa (17 luglio 1966), attualmente è Canonico del Capitolo Metropolitano nonché Presidente del Centro diocesano per il Diaconato permanente.

Già vicario generale dell'arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova, per tantissimi anni è stato direttore della Caritas diocesana, succedendo all'amico e maestro di vita, don Italo Calabrò. Legato alle comunità parrocchiali che ha guidato con passione e lungimiranza, attualmente è impegnato come rettore della Chiesa del Carmine nel centro storico della città.

Giornalista pubblicista di vecchio corso, è attualmente il direttore della Rivista pastorale diocesana. Ricopre, inoltre, anche l'incarico di delegato arcivescovile per i Ministeri istituiti.

Gli anni "alla scuola" di monsignor Giovanni Ferro

«Era fatto così – ci ha spiegato don Iachino in una recente intervista parlando del Venerabile Giovanni Ferro – lui, appena vedeva un povero, si fermava. Non aveva mai fretta; e non è un modo di dire: spesso usciva con la sua macchina per andare a “recuperare” chi viveva una situazione di disagio. E li portava nel cortile della Curia. Quanti abitanti che recuperavano i loro diritti di cittadinanza grazie al vescovo Ferro che poi li affidava a don Italo Calabrò».

L'amicizia con don Italo Calabrò: «Recuperare la vita come un dono»

In un suo articolo scritto per Avvenire di Calabria, monsignor Iachino ricordò così don Italo Calabrò.

La caratteristica della sua spiritualità, che ha sempre cercato di condividere nella sua azione pastorale, era la considerazione della vita come dono e missione d’amore. Diceva: «Dobbiamo recuperare la dimensione della vita come dono, dono che Dio fa a noi attraverso i nostri genitori. Siamo stati tutti concepiti con un atto di amore! La vita che è in forma diversa secondo la varietà delle situazioni in cui ci troviamo, dev’essere considerata un dono: dono alla propria sposa, dono ai propri figli, alla propria comunità, al territorio in cui si vive, dono di consacrazione totale per i preti, per le suore, ma sempre di consacrazione anche per la vita coniugale, del lavoro, dell’insegnamento, di ogni altra attività. Tutta la vita è dono di Dio, è dono che noi facciamo agli altri».

L'impegno con gli ultimi: «Mi dissero che il pazzo ero io»

Ecco come don Iachino racconta la nascita della case accoglienza della diocesi: «Come Caritas non accettammo mai di mutuare il metodo dell’Ospedale Psichiatrico. Non furono assunti infermieri, né psichiatri, ma operatori che condividevano l’idea di fondo: ricreare lo spirito familiare per questi uomini e queste donne. Così ciascuno di loro era responsabile della propria casa. Ricordo che il dottor Quattrone, psichiatra e direttore del manicomio, mi disse: «Il vero pazzo, qua, sei tu» quando nel maggio del 1987 nacque “Casa Corigliano”, alloggio per 9 pazienti, avviato senza alcun sostegno pubblico. Ma, col tempo, il professionista reggino, divenuto mio parrocchiano, cambiò idea».

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