La devozione alla Madonna della Consolazione e il “nuovo” santuario: un legame tra fede e storia
Dallo storico Laganà a padre Pasquale Triulcio, un’occasione per scoprire e approfondire la storia della Basilica minore dell’Eremo.
Lo storico Enrico Tromba ci accompagna in un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo. Iniziando dai fatti più noti di epoca moderna riporta alle origini dell’ebraismo in Calabria.
«Ogni terra è piena di te e ogni mare». Il passo che nel 140 a.C. l’anonimo autore degli Oracoli sibillini rivolgeva al popolo ebraico si adatta perfettamente alla terra italica. I - tal - ya, infatti, in ebraico significa Isola della rugiada divina. Questa suggestione ci introduce pienamente nel rapporto che il popolo ebraico ebbe con la nostra terra.
Il fascino diviene ancora più intrigante quando pensiamo che, in epoca antica, il nome Italia, come ci conferma lo storico siceliota del V secolo a.C., Antioco di Siracusa, non era riservato, come oggi, all’intera penisola, ma solo all’estremo lembo del territorio calabrese.
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Al di là delle suggestioni, è chiaro come queste espressioni tradiscano un profondo legame tra i due popoli, tra le due terre. E molte sono le prove che ci aiutano a confermare questa idea: dalle sinagoghe ai cimiteri, dalle tracce archeologiche a quelle onomastiche e toponomastiche.
Inizieremo in questa sede un veloce excursus storico in due tappe, procedendo a ritroso. Partiremo innanzitutto dalle più note e vicine vicende di epoca medievale e moderna per poi andare ad analizzare le radici di una presenza antica.
Una delle principali arterie della città di Reggio Calabria è ancora oggi intitolata ad Aschenez, pronipote di Noè e leggendario fondatore della città dello Stretto. Un’altra indicazione toponomastica, ormai scomparsa, ma rimasta nella memoria dei più anziani, fa riferimento ad un’altra zona della città conosciuta col toponimo di Scale di Giuda. Infine, come non fare riferimento all’attuale via Giudecca, ancora presente a Reggio e in diverse altre cittadine della Calabria? Relitti di una tradizione medievale, questi toponimi sono le prove tangibili dell’esistenza di una comunità ebraica in città.
Dalle memorie del Morisanus e di Dito sappiamo che la Giudecca di Reggio era situata nella parte bassa della Città. Era attraversata da una strada che, in direzione nord-sud, andava dall’antica Porta Mesa alle Palette, vicino alla zona che ricade intorno alla attuale via Giudecca.
All’interno del quartiere ebraico si trovava una sinagoga e anche una seconda porta della città che comunicava direttamente con la marina: questo accesso era, realisticamente, legato all’importanza che sempre il commercio ebbe per la comunità ebraica. A riprova di ciò, occorre sottolineare come, anche se non numerosa, nel Medioevo la comunità rivestiva una certa importanza economica, ascrivendo a sé alcune specifiche attività come la produzione e il commercio della seta e l’arte della stampa.
Il 22 luglio di ogni anno l’Università di Reggio, per suo antico privilegio, stabiliva il prezzo della seta. L’avvenimento veniva chiamato La voce della Maddalena, perché il 22 luglio ricorreva la festività del personaggio evangelico. I telai e le colture di gelso, ancora oggi presenti nelle zone del reggino, sono l’ultimo relitto di un’epoca in cui altissima era la produzione di bachi nel territorio.
In epoca medievale i vari proprietari terrieri, fatti raccogliere i bachi, li rivendevano alla comunità ebraica che aveva la strumentazione necessaria per lavorare e colorare la seta.
I prodotti così creati venivano, poi, esportati nei mercati e nelle fiere di tutta Europa, attraverso i canali ebraici del commercio. Sete reggine sono state rinvenute in Francia e in Germania.
La comunità ebraica aveva anche una seconda peculiarità: l’arte della stampa. Diverse furono le stamperie sul territorio calabrese, ma la Città dello Stretto offre un unicum: a Reggio fu stampato il più antico libro ebraico al mondo che rechi una data certa. Nel mese di Adar 5235 dell’anno ebraico, corrispondente al febbraio 1475 dell’era gregoriana, nella giudecca di Reggio furono stampate trecento copie del Commentarius ad Pentateuchum di Rashi, acronimo dell’ebreo francese Rabbi Salomon ben Isaac, considerato ancora oggi il più grande commentatore di Torah e Talmud.
L’incunabolo fu stampato dal tipografo Abraham ben Garton, giunto a Reggio, probabilmente, dalla Spagna. Stampato in caratteri ebraici mauro-spagnoli, il Commentarius è l’unica copia ad oggi superstite delle trecento stampate ed è conservato presso la Biblioteca Palatina di Parma. Dell’originale fu realizzata una prima copia anastatica nel 1969, custodita oggi a Gerusalemme, ed una seconda nel 2006, conservata presso la Biblioteca Comunale “P. De Nava” di Reggio Calabria.
Le notizie in merito alle comunità ebraiche in epoca medievale sono le ultime attestazioni di una presenza che risale ai primi secoli dell’era cristiana. «Costeggiando giungemmo a Reggio» recitano gli Atti degli Apostoli e il passo testimonia il primo vero contatto con il mondo ebraico secondo le fonti letterarie.
L’ebreo Saulo, «fariseo quanto alla legge» (At. 23,6; 26,5), formatosi alla scuola dell’autorevole maestro Gameliele a Gerusalemme, aveva abbracciato successivamente il messaggio cristiano, era stato accusato di aver predicato contro la Legge ebraica e per questo arrestato. In quanto «civis romanus», fu inviato a Roma per essere giudicato dall’Imperatore.
Durante il viaggio che lo stava portando nell’Urbe, la nave che lo trasportava fece sosta a Reggio. Fin qui le sicure fonti letterarie. Ma da questo episodio nacque la tradizione che a Paolo fu permesso di scendere dalla nave per evangelizzare le genti reggine: il tempo concessogli era quello di una candela. Quando questa si fosse spenta, Paolo avrebbe dovuto interrompere la predicazione.
La leggenda prosegue con la narrazione di un miracolo. Terminata la cera della candela, fu l’intera colonna sulla quale la candela era posta, che prese fuoco e concesse a Paolo il tempo necessario per la sua evangelizzazione.
La colonna è ancora oggi conservata e venerata nella Cattedrale reggina. Al di là dei risvolti leggendari del racconto, rimane l’attestazione della presenza di Paolo che, se ha effettivamente avuto la possibilità di predicare, si è in primis rivolto ai suoi vecchi fratelli di fede: gli ebrei di Reggio.
Dopo questo riferimento letterario, le prime attestazioni certe di una presenza ebraica sul territorio sono di matrice archeologica. A Reggio vi fu sicuramente una comunità ebraica all’inizio del IV secolo: la presenza è testimoniata da una epigrafe in caratteri greci che fa riferimento alla comunità degli ebrei.
Contemporaneamente una comunità ebraica esisteva anche nell’antica Leucopetra, l’odierno centro di Lazzaro, dove è stata rinvenuta una lucerna con la raffigurazione della menorah. Infine, il rinvenimento archeologico più importante è la scoperta di un edificio di culto ebraico in località San Pasquale di Bova marina. La sinagoga fu scoperta nei primi anni ’80 del secolo scorso ed è la seconda struttura di culto ebraica rinvenuta nella Penisola italiana.
La sinagoga visse dal IV alla seconda metà del V secolo e doveva appartenere ad una comunità di una certa importanza. La struttura appare, non solo estesa per ampiezza, ma anche ricca di un mosaico pavimentale di notevole bellezza. Nell’aula della preghiera, infatti, è venuto alla luce un mosaico policromo che raffigurava una menorah, affiancata dai rituali oggetti ebraici liturgici: lo shofar (il corno d’ariete), l’ethrog (il cedro) e il lulav (il ramo di palma).
La comunità di Scyle (l’attuale San Pasquale di Bova Marina) si trovava sull’antica strada romana che collegava Rhegium a Tarentum e poteva rappresentare una statio, una fermata di sosta lungo la via romana. Questa ipotesi è avallata anche dalla presenza di numerosi rinvenimenti ceramici, di varia provenienza: dalla Palestina, alla Spagna, dalla Francia alle produzioni locali. Proprio questo ultimo dato ci riserva una caratteristica particolare.
Tra le varie anfore rinvenute nei vani della sinagoga, spiccano per importanza alcune anse che riportano il bollo della menorah. Oltre ad una sicura appartenenza ebraica, il bollo ci consente di avanzare un’ipotesi affascinante: le anfore con il bollo avevano una ben specifica peculiarità: erano contenitori per il trasporto del vino.
È lecito quindi supporre che il bollo potesse essere stato stampigliato per assicurare che quel vino fosse kosher, ovvero un alimento che rispondeva pienamente alla kasherut, l’insieme delle norme che regolano la cucina ebraica. Queste tracce in epoca antica sono quindi i prodromi realisticamente, di quello sviluppo che le comunità raggiunsero in epoca medievale.
La presenza ebraica fu, però, troncata bruscamente nel XVI secolo. Dopo essere stati espulsi dalla Spagna e dai possedimenti spagnoli dal re Ferdinando II d’Aragona con l’editto di Alhambra del 1492, stessa sorte toccò loro anche nei territori italici.
Lo stesso re Ferdinando emanò la Prammatica Sanzione del 23 novembre 1510 in tutto il Regno di Napoli, imponendo agli ebrei di allontanarsi dai suoi territori entro quattro mesi. A circa duecento famiglie fu concesso di fermarsi fino al 1541, anno della definitiva espulsione dal Regno.
PER APPROFONDIRE: La Calabria e l’ebraismo: un’amicizia millenaria tra cedri perfetti, tipografi antesignani e la Giudecca di Reggio
Da quel momento le Giudecche scomparirono dall’Italia meridionale per recarsi negli Stati dell’Italia centro-settentrionale, senza farne più ritorno fino a pochi decenni fa. Si era così conclusa con l’espulsione una storia di circa 15 secoli che aveva visto le comunità ebraiche caratterizzare pienamente il tessuto economico e culturale dell’Italia meridionale e della Calabria.
*docente di antichità ebraiche Issr Reggio Calabria
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