
Nuovo anno sociale e nuove energie per il Kiwanis
Un evento che ha unito eleganza, emozione e prospettiva, rinnovando lo spirito di servizio e

C’è un filo sottile che lega le storie personali alle grandi questioni sociali. Ferdinando Carrozza, 76 anni, oggi ospite della Casa Ospitalità per Anziani della Piccola Opera papa Giovanni di Reggio Calabria, lo racconta con semplicità. Una vita trascorsa tra tribunali e aule di giustizia, oggi segnata da una nuova dimensione, fatta di relazioni, cura e riflessione sul ruolo che gli anziani possono e devono avere nella comunità.

Carrozza non è nato a Reggio Calabria, ma qui vive da molti anni. Il suo percorso lavorativo inizia a Torino, nel 1980, alla Procura della Repubblica. Poi il passaggio alla Corte d’Assise di Locri e, infine, l’approdo al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, dove resterà fino al 2015, anno della pensione.
Ricorda con gratitudine il presidente Roberto Di Bella, «capace di introdurre innovazioni decisive per il recupero dei minori cresciuti in contesti malavitosi».
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«Era il mio mondo – confida – un lavoro che mi appassionava al punto da non guardare mai l’orologio». Il pensionamento, inevitabile, è stato un trauma.
«Sarei rimasto oltre i limiti della legge Fornero, ma la salute mi ha fermato», spiega. Nel 2021 un crollo fisico dovuto a insufficienza renale cronica lo costrinse a un lungo ricovero tra Ospedali Riuniti e Policlinico. Proprio lì avvenne l’incontro con Valentina Labate, responsabile della struttura, che lo accolse nella comunità nel 2022. «Qui ho trovato assistenza sanitaria ottima, ma soprattutto calore umano».
«Non è solo cura medica, è sentirsi parte di una famiglia». Il tema della solitudine attraversa il suo racconto come una ferita e, allo stesso tempo, come una possibilità di riscatto. «Vivere da solo non era più possibile. La solitudine pesa quando il fisico non risponde più, quando ti accorgi che non riesci a gestire la quotidianità. Qui invece ho trovato un’oasi di serenità».
L’assistenza delle suore, delle infermiere e degli operatori si intreccia con la vicinanza di altri ospiti e volontari, che portano freschezza e occasioni di incontro tra generazioni. Le giornate scorrono tra letture, televisione, conversazioni con i compagni e le due sedute settimanali di dialisi.
«Non sono nonno – racconta – ma a volte mi sento tale. Quando i giovani volontari ci vengono a trovare, c’è spazio per raccontare e per trasmettere qualcosa della mia esperienza». Proprio l’esperienza, per Carrozza, è il patrimonio più grande che un anziano può offrire. «Lo Stato dovrebbe valorizzare i dipendenti in pensione, non lasciarli cadere nella solitudine. Io ho addestrato per anni i giovani cancellieri. Anche dopo il pensionamento sono rimasto volontariamente a disposizione, come consulente, senza compenso. È stato utile sia per i ragazzi, sia per me: l’impegno mentale è fondamentale.
Andrebbe istituzionalizzato, perché è un peccato disperdere il sapere accumulato». Dal suo racconto emerge una proposta chiara: trasformare la pensione da frattura dolorosa in opportunità di servizio: «Coinvolgere gli anziani in percorsi di volontariato, affiancamento e formazione, per non disperdere competenze e mantenere viva la motivazione.
Gli anziani – afferma – non sono solo coloro che sostengono i figli e i nipoti con la pensione. Possono dare molto di più, in termini di conoscenza e di consigli. Sono risorse, non pesi». Ma c’è anche un messaggio che Ferdinando vuole condividere e che vuole essere d’aiuto per preparare al meglio ad affrontare la terza età: saper gestire il proprio tempo e la propria vita.

«Il mio errore è stato identificarmi totalmente nel lavoro. Quando è finito, mi sono trovato spiazzato. Bisogna coltivare interessi, hobby, spazi sociali già prima. Solo così non si cade nella depressione della solitudine». Infine, uno sguardo ai giovani, non privo di amarezza. «Li vedo un po’ superficiali, poco sensibili ai problemi degli anziani. Eppure basterebbe maggiore attenzione, un po’ di gentilezza, per costruire un ponte tra generazioni. La sensibilità umana deve essere coltivata fin da piccoli». Alla Casa Ospitalità, Carrozza ha trovato un luogo che non è solo assistenza, ma vita condivisa. «Qui mi sento accolto, voluto bene. Non è la mia famiglia di sangue, ma è la mia famiglia di oggi». A parlare, per il resto, è il suo sguardo, dietro il quale c’è tanta esperienza e saggezza. Traspare una convinzione: la società, se vuole davvero crescere, deve imparare ad ascoltare chi ha già vissuto tanto: non solo custodire gli anziani, ma camminare con loro, riconoscendo in ciascuno una risorsa viva, capace di offrire ancora tanto.

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