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Se il nichilismo è il prezzo della nostra epoca, forse l’immaginario mitico può ancora indicarci vie d’uscita
La nostra epoca sembra contraddistinta da un'inquietante dissoluzione delle strutture comunitarie. Le società contemporanee appaiono sempre più sfaldate, lacerate da tensioni interne, prive di coesione e incapaci di offrire direzioni chiare. Potremmo definirle, con un termine meno consueto, discrasiche, attraversate da un intreccio di elementi culturali spesso conflittuali che, più che integrarsi, si scontrano e si frammentano.
George Simmel parlava del sociale come di una "energia pura senza forma": una condizione che oggi appare più evidente che mai.
Siamo immersi in un magma relazionale, dove i legami sembrano dissolversi nell’individualismo e nella fluidità di un presente senza appigli, privo di una direzione collettiva. Ma è possibile che, per decodificare il nostro tempo e orientarci in questo scenario, si debba tornare indietro, alle radici profonde della nostra cultura?
Se il mito è il codice originario attraverso cui le comunità hanno dato senso al mondo, perché non recuperarlo oggi, in una stagione che sembra aver smarrito proprio la direzione? La mitologia greca, per esempio, non era solo una raccolta di racconti affascinanti, ma una mappa simbolica che dava ordine al caos, traducendo le tensioni della struttura sociale in figure e narrazioni archetipiche.
Carl Gustav Jung sosteneva: “Il mito è più individuale, rappresenta la vita con più precisione della scienza." Secondo il grande psichiatra svizzero, le antiche narrazioni esprimono le dinamiche dell'inconscio collettivo, offrendo una comprensione profonda della psiche umana. Gli archetipi che le animano continuano a operare nel nostro mondo interiore, manifestandosi in nuovi simboli e forme culturali. In tal senso, queste storie non appartengono solo al passato, ma rappresentano una struttura vivente che influenza il nostro modo di interpretare la realtà.
Pensiamo a Prometeo, il titano che ruba il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini. Un atto di ribellione, certo, ma anche il gesto fondativo della tecnica e della conoscenza umana. Oggi, in un contesto storico dominato dall’accelerazione tecnologica, non è forse ancora Prometeo a governarci, mentre ci chiediamo se il progresso sia un dono o una condanna? O ancora, pensiamo a Narciso, la cui immagine riflessa nell’acqua diventa ossessione, fino alla dissoluzione del sé.
Non è forse questa narrazione archetipica che meglio rappresenta il narcisismo digitale, il culto della performance e dell’apparenza, l’ossessione per la propria immagine nei social? E che dire di Dioniso, dio dell’ebbrezza, della festa sfrenata e della dissoluzione delle identità? In un tessuto sociale disgregato, dove la ricerca di coerenza si disperde nelle dipendenze, nei rituali collettivi del consumo e nella spettacolarizzazione dell’emozione, la sua ombra continua ad aleggiare sulle nostre vite.
Il grande racconto archetipico, dunque, non è solo un’eredità del passato, ma un codice ancora vivo, una chiave per decifrare le tensioni dell’oggi. Se il sociale si è fatto energia informe, recuperare una griglia interpretativa potrebbe aiutarci a ricostruire connessioni e significati, offrendo nuovi orientamenti, anche semantici, in un mondo che sembra averli perduti.
Peppino Ortoleva, nel suo saggio Miti a bassa intensità, esplora come le narrazioni mitiche si siano trasformate nella contemporaneità, adattandosi alle nuove forme di comunicazione e ai media moderni. Egli sottolinea che "i miti odierni, sebbene meno intensi, continuano a svolgere un ruolo fondamentale nella nostra vita quotidiana, influenzando le nostre percezioni e comportamenti". Anche se non ce ne rendiamo conto, il nostro immaginario continua a essere attraversato da figure mitologiche che agiscono come dispositivi culturali, capaci di orientare il nostro sguardo sul mondo.
Ma siamo ancora capaci di ascoltare il mito? O l’abbiamo ormai relegato in un angolo, soffocato dall’eccesso di razionalità e dal pragmatismo del quotidiano? La grande trama simbolica non è una favola né un residuo irrazionale: è una chiave interpretativa profonda, capace di riconnetterci alle strutture archetipiche del nostro essere sociale. Se il nichilismo è il prezzo della nostra epoca, forse l’immaginario mitico può ancora indicarci vie d’uscita, rivelandoci ciò che resta immutabile nel profondo delle trasformazioni sociali. Potremmo ripensarlo come uno strumento di rielaborazione culturale e pedagogica, un ponte tra passato e futuro, una bussola per decifrare le ambiguità del presente.
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Forse, per comprendere dove stiamo andando, dovremmo imparare a guardare il presente con gli occhi degli antichi: non per tornare indietro, ma per capire come orientarci nel nostro tempo.
*Sociologo
Bibliografia
Jung, Carl Gustav (1959). Gli archetipi e l'inconscio collettivo. Torino: Bollati Boringhieri.
Jung, Carl Gustav (1964). L’uomo e i suoi simboli. Milano: Mondadori.
Ortoleva, Peppino (2019). Miti a bassa intensità. Il mito nella cultura di massa contemporanea. Torino: Einaudi.
Simmel, Georg (1998). Il problema della sociologia. Milano: Edizioni di Comunità.
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