Avvenire di Calabria

Il 17 giugno arriverà la sentenza: in caso di accoglimento, l'opera sarà destinata ai frati cappuccini della Città

La statua del Cavaliere Monsolino potrebbe tornare a Reggio Calabria

Una vicenda paradossale: dopo la scomparsa negli anni '60, il ritrovamento grazie a una pellicola cinematografica

di Redazione Web

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Il 17 giugno arriverà la sentenza: in caso di accoglimento, l'opera sarà destinata ai frati cappuccini della Città. Una vicenda paradossale: dopo la scomparsa negli anni '60, il ritrovamento grazie a una pellicola cinematografica.

Le origini.

“La nobil famiglia Monsolini, liberale verso i nostri religiosi, eresse nell’antiporto della chiesa, non guari dopo fabbricata, gentilizia cappella (…) A man destra dell’ara evvi un sarcofago di marmo eletto alla memoria del cavaliere Giuseppe Monsolini morto nel Levante, ove più volte venne a battaglia cogl’infedeli.” Così scriveva nel 1840 l’erudito calabrese Tommaso Vitrioli (1785-1879) nel volume “Cenni storici sulla sacra effigie di Nostra Donna della Consolazione protettrice della città di Reggio”. Il sarcofago menzionato è rimasto per secoli nella chiesa dell’Eremo della Madonna della Consolazione di Reggio Calabria, un luogo di antica spiritualità eretto nel 1569 da un gruppo di Cappuccini sulle colline affacciate sullo Stretto di Messina, alle spalle della città, e intitolato alla Vergine della Consolazione dopo la pestilenza del 1576. Il convento rimase irrimediabilmente danneggiato dal terremoto del 1908 e rimpiazzato dal nuovo santuario, oggi Basilica Minore, costruito nel 1965 e ospitante al suo interno la veneratissima effigie della Madonna eseguita nel 1547 dal pittore locale Niccolò Andrea Caprioli. Ebbene, negli anni ’70, durante lavori di restauro alla Cattedrale di Reggio dove in quel momento si trovava, il succitato sarcofago del cavaliere Giuseppe Monsolini (o meglio la scultura del cavaliere sdraiato che fungeva da coperchio) venne trafugato e da allora non se ne seppe più nulla.

Il ritrovamento

Improvvisamente nel 2015 accade qualcosa di totalmente inaspettato: una sera di tre anni fa, l’architetto reggino Filippo De Blasio si trovava nella sua città, al cinema La Nuova Pergola, intento a guardare il film “La migliore offerta” del regista premio Oscar Giuseppe Tornatore, una pellicola ambientata nel mondo del collezionismo e delle aste d’arte. Guardare quel film è stato come riavvolgere il nastro della memoria, quella della sua famiglia di origine, i Monsolino di Palizzi. Una scena dietro l’altra ecco comparire una scultura che gli parve subito di riconoscere, pur immersa com’era fra i tanti preziosi elementi della premiata scenografia di Maurizio Sabatini. Era la statua di un cavaliere disteso su un fianco, sullo sfondo dei protagonisti, i celebri attori Geoffrey Rush e Donald Sutherland, rispettivamente nel ruolo del battitore d’aste Virgil Oldman e del suo amico Billy Whistler.

De Blasio si accorse così che quella scultura era in tutto e per tutto identica al coprisarcofago del più celebre dei suoi antenati: Giuseppe Monsolini, nobile cavaliere dell’Ordine di Malta con incarico di difendere i fedeli in viaggio verso la Terrasanta e la costa reggina funestata dalle incursioni turche; un soldato le cui spoglie, i frati cappuccini dell’Eremo della Madonna della Consolazione avevano accolto nella loro chiesa intorno al 1637, quale omaggio dovuto a un uomo che si era strenuamente speso nella lotta contro la pirateria. De Blasio non potè farne a meno di parlarne con parenti e amici, organizzando per loro una proiezione privata del film in DVD. Riuniti nel salotto di casa a visionare attentamente la pellicola, finiscono col rilevare ben 18 scene in cui compare la scultura. L’arcano però si svela solo grazie ai titoli di coda fra i quali compare la dicitura “La produzione ringrazia il noto collezionista d’arte ed editore Franco Maria Ricci, per la possibilità di girare alcune scene del film nella sua villa Fontanellato a Parma”. Ne è seguito un esposto alla sezione Tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri di Cosenza, con conseguente accertamento, nel giro di qualche mese, che la statua attribuita ad Anonimo siciliano di Noto e attualmente in possesso dell’editore, era proprio quella rubata in Calabria.

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