Avvenire di Calabria

L'arcivescovo calabrese ha preso possesso della diocesi partenopea

L’arrivo di Battaglia a Napoli: la prima visita è ai poveri

Redazione Web

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Due sacerdoti (il più giovane e il più anziano), due giovani (un ragazzo e una ragazza) lo hanno accompagnato nella prima parte della mattinata. Un “pellegrinaggio” verso le periferie esistenziali. Con loro monsignor Domenico Battaglia, 58 anni, nuovo arcivescovo di Napoli, ha iniziato ieri il suo ministero episcopale in diocesi. Parte e conclude con la preghiera e si affida alla Madonna: prima dalle monache di clausura della chiesa di San Giuseppe dei Ruffi, nei pressi del Duomo, poi presso la chiesa del Carmine dove è venerata la “Vergine bruna”. E la mattinata si arricchisce di incontri: la prima tappa è Piscinola con la famiglia di Francesco Della Corte, il vigilante ucciso da tre minorenni nel 2018. A seguire incontra una donna nigeriana accolta nella Casa famiglia “Riario Sforza” che ospita i malati di Aids; prende il caffè con una famiglia provata dalla perdita del lavoro per la chiusura della Whirlpool. A fine mattinata, a San Giovanni a Teduccio, ecco la piccola Roberta, dell’associazione “Figli in famiglia” che si occupa di minori in difficoltà. Quindi il pranzo al “Binario della solidarietà” (struttura che compie 25 anni e si prende cura dei senza dimora). Chiesa, giovani, marginalità, lavoro, minori, senzadimora: ecco le periferie esistenziali a cui don Mimmo riserva i primi posti, anche in Duomo. Su di loro invoca la «luce di Cristo che splende nelle tenebre» e li presenta come immagine di una comunità in cammino che va sostenuta e affiancata. E che all’inizio della celebrazione affida a san Gennaro, ritirandosi in preghiera silenziosa davanti alle reliquie del patrono. In Duomo ad attenderlo i vescovi della Campania, con il presidente della Conferenza episcopale campana Antonio Di Donna, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace (sua diocesi di origine) Vincenzo Bertolone, e un delegazione di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, Chiesa che ha guidato per quattro anni.

A loro il presule dice subito che «non vuole essere definito un prete di strada, ma un prete sulla strada, insieme ai fratelli». Don Mimmo auspica una «Chiesa della compassione che conosce la fatica perché entra nelle case, non parla da fuori e non parla quasi mai separando i “vicini” e i “lontani”». «L’incontro con Gesù – dice infatti Battaglia – chiede la conversione dello sguardo: quando un uomo ha uno sguardo spento e un cuore non desidera più, sta cedendo alle fatiche della storia». Da qui vuole ripartire don Mimmo e questo domanda alla comunità: di «spogliarsi di ogni legame e complicità con tutte le forme di potere, di scrollarsi di dosso il peso delle nostre divisioni e lacerazioni e lasciarsi riempire di luce nell’incontro degli incontri».L’appello è poi ai sacerdoti a cui ricorda di «essere mediatori della misericordia e di incoraggiare e rialzare soprattutto coloro che si sentono abbandonati da Dio». E a tutti i laici che invita a «vivere dalla parte del Signore che ha scelto gli ultimi posti e di camminare con la gente comune, segno di contraddizione per i potenti di ogni tempo e segno di salvezza vicina per i poveri». L’ultima parola è per chi lo ha preceduto in Chiesa: persone fragili, poveri, vittime di violenza, disoccupati, minori a rischio. «Lasciamo che siano loro ad aprire il cammino: chi è entrato con me si è fatto carico di tutta quanta la speranza, presentandola al Signore e potremo farlo – conclude l’arcivescovo – solo se riusciremo a guardare chi ci cammina accanto». Una Chiesa dalle porte aperte. Questo anche l’invito alle autorità che incontra in episcopio nel pomeriggio: con il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris e il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, c’erano i ministri Enzo Amendola e Gaetano Manfredi. Battaglia parte citando Pino Daniele di Terra mia e sottolineando il suo “sogno”: «Una nuova speranza che sia spazio per tutti. Vicini a chi ha perso il lavoro e vicino a chi è stato avviluppato dai tentacoli della camorra, capaci di intercettare il grido dei nostri ragazzi. Beati noi se sapremo costruire comunità che non lasciano indietro nessuno».

* Avvenire

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