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Il 13 gennaio i corsisti dell’Istituto superiore diocesano di Formazione politico-sociale “Monsignor Antonio Lanza” hanno partecipato alla tavola rotonda sul tema «Violenza nei media e suoi effetti sulla condizione giovanile», coordinata dalla professoressa Francesca Panuccio, con gli interventi di Marina Villa, ricercatrice in Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università Cattolica di Brescia e dei tutors del corso Ilenia Marraffa e Elenio Bolognese.
La professoressa Panuccio, citando l’audizione del presidente del Garante per la protezione dei dati personali del luglio 2021, ha ribadito che la disintermediazione agevolata dalla rete, da un lato ha contribuito ad una maggiore circolazione di idee e all’ accesso all’informazione, ma dall’altro ha purtroppo favorito la polarizzazione sociale, a causa della viralità della condivisione e del funzionamento degli algoritmi. Il principio costituzionale alla manifestazione del libero pensiero passa attraverso la filosofia del linguaggio.
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Ma nella dimensione della rete in quella che è stata definita «età della rabbia» si sono moltiplicati i «discorsi d’odio». In tale contesto non sempre le condotte lesive sono facilmente configurabili come illeciti. La docente ha richiamato come riferimenti giuridici la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, il Patto internazionale sui Diritti civili, la Cedu, e la Raccomandazione numero 15 del 2015 della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza.
La professoressa Villa ha ricordato, tra le lettere pastorali scritte dal Cardinal Martini sulla comunicazione, “Il lembo del mantello”. Lettere in cui Martini sottolinea la responsabilità di chi utilizza i mezzi di comunicazione. Come ha precisato la relatrice, le espressioni di ostilità caratteristiche dei discorsi d’odio sui media sono perseguibili quando, oltre alla violenza verbale, sono accompagnate da un incitamento alla violenza e da minacce concrete.
Soprattutto sui social media, a causa della banalizzazione dei discorsi ideologici e della deresponsabilizzazione, i giovani spesso non sembrano neppure consapevoli della gravità e degli effetti che possono avere le parole d’odio. Alcuni osservatori, come Amnesty international, hanno rilevato che i soggetti più colpiti dalla violenza verbale online sono i migranti e le donne, e che si amplificano le discriminazioni per razza, scelte religiose e orientamento sessuale. Ad essere prese di mira sono anche le organizzazioni non governative e il mondo della solidarietà.
La Commissione europea, nel maggio del 2016, ha ottenuto che alcune piattaforme siglassero il codice di condotta per contrastare i discorsi di odio online e per agire tempestivamente per la loro rimozione. A questo però è necessario si accompagni la “media education”: i giovani devono essere aiutati a riconoscere i discorsi d’odio e a segnalarli, a comportarsi responsabilmente e civilmente anche sul web, e a prendere coscienza della gravità dei messaggi aggressivi.
Sarebbe utile che i politici fossero un buon esempio di comunicazione corretta, tuttavia alcuni di loro sembrano incitare alla diffusione di messaggi di odio sul web. Infine i responsabili di testate giornalistiche e i giornalisti devono prestare attenzione a non contribuire a veicolare messaggi di ostilità, controllando i commenti sulle loro pagine social.
La professoressa Villa ha mostrato il “Manifesto della comunicazione non ostile”, redatto dall’Associazione “Parole Ostili”, in cui fra l’altro si ricorda che «gli insulti non sono argomenti”». Molto interessanti, in conclusione, gli interventi di Ilenia Maraffa, sulla «violenza al servizio del mercato», e di Elenio Bolognese sulla «creazione del nemico nell’era dei social», rivisitabili sulla pagina web dell’Istituto.
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Sono stati giorni anche di scambio di conoscenza ed esperienza sul campo per i presenti
Ad illustrarlo il commissario della Fondazione Anton Giulio Grande e il direttore Luciano Vigna La