Avvenire di Calabria

Partecipazione, la svolta attesa

Fondare il futuro di Reggio sulla corresponsabilità

Davide Imeneo

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Sono passati due anni dall’elezione a sindaco del giovane Giuseppe Falcomatà. Si chiudeva, il 26 ottobre del 2014, la dura stagione del commissariamento per «contiguità mafiose» durata venticinque mesi.
Un tempo durante il quale Reggio Calabria conobbe l’infamante accusa di «città della ‘ndrangheta».
Le elezioni dell’ottobre 2014 avrebbero rappresentato finalmente l’occasione del riscatto. I cittadini tornavano ad eleggere il loro amministratore con lo spirito di chi cerca un bravo medico in cui riporre la speranza di guarire da un male antico. I reggini che andarono alle urne scelsero il figlio di Italo, Giuseppe Falcomatà, il sindaco più giovane di sempre.
Si iniziò immediatamente a parlare di una «nuova primavera» che avrebbe fatto risorgere Reggio Calabria dal suo torpore, sul modello di quella vissuta negli anni novanta. La parola «Svolta», attorno alla quale il giovane candidato a sindaco aveva costruito la campagna elettorale, segnò il passo di questa nuova fase della storia della città dei bronzi. Fu una svolta, effettivamente, la presentazione della Giunta Comunale a Santa Venere. Periferia urbana e umana, rimase incantata da quella improvvisa centralità nella vita sociale e politica della Grande Reggio. Ma, spenti i riflettori, le distanze sono rimaste tali. In questi due anni di amministrazione, pochissimi punti del programma elettorale sono stati centrati. Certamente, ma non è una scusa, il sindaco e la giunta hanno incontrato difficoltà maggiori di quelle previste. Far ripartire una città è difficile, se poi questa città è Reggio Calabria allora è difficilissimo.
La «svolta» attesa consisteva in un nuovo inizio. Seppur lento e fragile, comunque un cammino. Invece, dopo 24 mesi, si registra una fase di stagnazione che non lascia sperare in una ripresa. Tanti eventi, molte fotografie, numerosi documenti...ma poca sostanza.
Dove sono gli effetti di quanto viene annunciato? Tutto appare immobile: si guarda ai fondi europei come la manna dal cielo; si attende l’entrata in pieno vigore della Città Metropolitana; si spera nei Patti per il Sud concessi da Renzi. Ma perché non puntare sulle proprie (seppur minime) energie per tentare la svolta?
La grande consegna delle elezioni dell’ottobre 2014 fu il dato dell’affluenza: solo il 65% degli aventi diritto andò alle urne. Nel 2011 votò il 75%, nel 2007 l’82%. Un dato di estrema gravità che denunciava uno stato di degrado nel rapporto tra cittadini e istituzioni.
Ridurre questo divario avrebbe dovuto essere il primo vero impegno del neoeletto sindaco.
In che modo si è agito per colmare questa drammatica distanza? Forse coinvolgendo la cittadinanza per spiegare la raccolta differenziata dei rifiuti? Assegnando un’aiuola della via Marina a questa o a quella associazione perché se ne prenda cura?
La svolta mancata è stata quella della partecipazione.
Palazzo San Giorgio è ancora una fortezza, gli amministratori sono percepiti come uomini lontani. E soprattutto la realtà pone sotto gli occhi un grande degrado. È la distanza tra gli annunci e i fatti che causa l’allontamento delle persone.
La svolta che ci aspettiamo è il dialogo tra amministrati e amministratori. Che ci auguriamo non venga instaurato attraverso sporadiche assemblee civiche, ma si nutra di incontri veri, tesi a ristabilire la centralità della corresponsabilità nella città degli uomini.

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