Avvenire di Calabria

Perché tutta questa violenza?

Sei episodi in altrettanti mesi nella diocesi di Reggio Calabria

Federico Minniti

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Sei episodi di violenza in altrettanti mesi con un incremento esponenziale negli ultimi trenta giorni in cui per ben quattro volte le forze dell'ordine hanno dovuto varcare la porta di luoghi di culto o di proprietà diocesana. Accade a Reggio Calabria dove l'escalation dei fatti a danno di sacerdoti e comunità parrocchiali, oltre quello alla redazione del settimanale diocesano L'Avvenire di Calabria, hanno portato il prefetto della città dello Stretto ad inserire le parrocchie tra gli “obiettivi sensibili” da sorvegliare da parte degli uomini del Comando provinciale dei carabinieri e della Polizia di Stato. Fatti gravi che hanno una comune matrice: la notte che arma quanti vogliono lanciare messaggi dal forte senso evocativo, prima ancora che criminale. Il primo episodio è accaduto tra l'11 e il 12 marzo scorso quando l'autovettura di don Giuseppe Cosa, parroco di Bocale, periferia sud di Reggio Calabria, è saltata per aria in virtù di un incendio appiccato da Domenico Feno, 43enne pregiudicato, che fu arrestato lo scorso 29 aprile, ossia cinquanta giorni dopo l'incendio che scosse il quartiere sul mar Ionio. Altro fattor comune tra i diversi episodi, oltre l'orario notturno, è stata la straordinaria solerzia di intervento dei militari su mandato della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Proprio come è accaduto quando fu pestato monsignor Giorgio Costantino, parroco di Santa Maria del Divino Soccorso nel quartiere di Gebbione in pieno centro cittadino. Il fatto fece scalpore e anche in quel caso i carabinieri in meno di quarantotto ore riuscirono a fermare il responsabile dell'azione violenta, individuando il giovane Giacomo Gattuso. A questi due episodi ne sono seguiti altri – ben quattro - tutti intervallati tra il 16 luglio e il 13 agosto. Prima l'introduzione presso la redazione del settimanale diocesano L'Avvenire di Calabria, poi il furto della statua mariana presso il Santuario dei Monfortani a Reggio Calabria (restituita poche ore dopo ai carabinieri), poi la rapina alla cassaforte della parrocchia di San Paolo e, infine, un ulteriore atto intimidatorio a padre Severino Kyalondawa, parroco di Sant'Elia di Ravagnese sempre nell'hinterland della città dei Bronzi di Riace, al quale è stata smontata una ruota della propria autovettura. Gesti, molti dei quali, intrisi di mentalità mafiosa volti ad intimidire l'azione pastorale e sociale di una Chiesa che vive un territorio di frontiera. «I recenti attacchi contro realtà ecclesiali ci stanno ponendo seri interrogativi. Non vogliamo pensare – ha dichiarato monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo di Reggio Calabria - a qualche nascosto ‘filo conduttore’; ma non si può non rilevare una coincidenza, che si spera sia solo occasionale». Tanti i dubbi: gli attacchi sono mirati? Sono “reazioni” alle attività di accoglienza e di giustizia sociale delle comunità locali? La criminalità organizzata ha un ruolo? Accanto ai sacerdoti e ai fedeli si è schierata tutta la macchina istituzionale con in testa il prefetto, Michele Di Bari, che da subito ha voluto ascoltare i destinatari di queste attenzioni criminali. Una sinergia che poggia su due solide gambe: da un lato, quell'attenzione repressiva ai fenomeni violenti, dall'altro, invece, vi è la scelta ferma dell'Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova a schierarsi contro la 'ndrangheta e tutte le forme di prepotenza che derivano da una subcultura mafiosa. «Ringraziano sentitamente il Prefetto, le Forze dell’Ordine e gli Organi Investigativi per la pronta reazione» ha concluso Morosini spiegano come «Vescovo e Curia Arcivescovile si dichiarano pronti ad ogni forma di collaborazione».

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