Avvenire di Calabria

La comunità e il suo fondatore, don Cosentino, sono legati da questa ricorrenza: il 31 marzo

San Luca Evangelista, festeggiato un giubileo speciale

Sergio Conti

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C’è una data – ed è il 31 marzo – che lega indissolubilmente il nome di un sacerdote a una parrocchia di periferia. Per qualcuno potrebbe essere una semplice coincidenza. Per qualcuno. Ma non per chi ha conosciuto don Gaetano Cosentino, il prete originario di Molochio, nella piana di Gioia Tauro, morto il giorno 31 del mese di marzo. Ovvero lo stesso giorno in cui veniva istituita, molti anni prima, per decreto dell’arcivescovo Giovanni Ferro la parrocchia di San Luca Evangelista a Reggio Calabria.

Il fondatore e la “sua” parrocchia. Sua perché cinquant’anni fa il quartiere Gebbione era una landa desolata, campi a perdita d’occhio e qualche casa qui e lì. La povertà materiale e spirituale tipica delle zone più ai margini, che papa Francesco ha definito «periferie esistenziali». Il giubileo della parrocchia è l’occasione per riaprire scatoloni pieni di fotografie, di rispolverare diari e testimonianze dell’epoca. Ma è anche il momento di dire grazie a Dio, perché dal niente ha fatto sorgere una chiesa. Non solo quella in muratura, che è arrivata dopo, molto dopo. Ma soprattutto per aver eletto un popolo affidandolo alla guida di un prete instancabile. Al suo arrivo, don Gaetano trovò il nulla a dargli il benvenuto. Non una chiesa, non una stanza e naturalmente nemmeno un parrocchiano inginocchiato davanti a un tabernacolo.

La parrocchia di San Luca nasceva da una costola del Divin Soccorso e al di là del decreto d’istituzione non possedeva nulla. Furono giorni di sconforto per don Gaetano, che dopo aver diretto il seminario di Oppido Mamertina ed essere stato a Roma nella parrocchia di San Leone per studiare più da vicino il Concilio Vaticano II, dovette rimboccarsi le maniche. E ricominciare. Ma questa, lui non poteva saperlo ai tempi, sarebbe stata l’ultima volta, perché questo era l’approdo finale scelto da Dio per lui. Iniziò in un garage la missione, c’era il tetto in cartone catramato. Pioveva durante le celebrazioni e così, a turno, persone di buona volontà si alternavano all’ombrello come si fa nelle messe all’aperto nei giorni di brutto tempo. La statua della Madonna la prese in prestito al seminario di Reggio, senza mai restituirla: era buttata in un sottoscala ricoperta di due dita di polvere.

Nel corso di quasi quaranta anni, i parrocchiani andò a cercarseli uno per uno come il buon pastore con la pecora perduta. Nelle case popolari, per le strade, nei centri di accoglienza per drogati ed extracomunitari, nella fabbrica dell’Omeca, a scuola. Insegnava ed era molto amato dagli studenti del liceo classico, che confluivano nella “chiesetta di plastica” a fiumi. Era un uomo dell’oggi: «Oggi verrò a mangiare a casa tua» diceva a chi gli chiedeva un generico appuntamento per parlare. Si auto–invitava. Come Gesu Cristo con Zaccheo, sapeva perfettamente che il momento favorevole era quell’istante esatto. Sapeva che chi bussa alla porta e trova chiuso potrebbe non tornare mai più. Era davvero felice il giorno in cui si pose la prima pietra della nuova costruzione, quella attuale. Quella prima pietra la portò di peso insieme ai fedeli a Roma, per farla benedire da papa Giovanni Paolo II. Ancora oggi la parrocchia di San Luca mostra i frutti della sua lungimiranza: nelle comunità neocatecumenali, nella gioventù francescana sono nate famiglie e figli. In tanti dicono di essere grati a Dio perché si è servito di quest’uomo carismatico e burbero, ironico e colto, per salvare un matrimonio finito, per far nascere figli non voluti, per suscitare vocazioni e missioni in diverse parti del mondo. Per qualcuno potrebbe essere una coincidenza. Per qualcuno.

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