Avvenire di Calabria

La Chiesa ricorda oggi il martirio del Santo polacco morto ad Auschwitz il 14 agosto del 1941

Massimiliano Kolbe, l’eroico frate che sfidò le SS con la preghiera

Il sacerdote offrì la sua vita al posto di un padre di famiglia condannato a morte nel lager dai nazisti

di Redazione Web

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Oggi la Chiesa ricorda San Massimiliano Kolbe, l'eroico frate francescano che nel campo di concentramento di Auschwitz, offrì la propria vita per salvare quella di un padre di famiglia, Francesco Gaiowniczek, condannato a morire di fame come rappresaglia per la fuga di un detenuto. Un Santo che nutre una profonda devozione anche in Calabria.

Massimiliano Kolbe, i primi segni della vocazione

«L’odio divide, separa e distrugge, mentre al contrario l’amore unisce, dà pace ed edifica. Nulla di strano, quindi, che solo l’amore riesca a rendere sempre gli uomini perfetti. Perciò, solamente quella religione che insegna l’amore di Dio e del prossimo può perfezionare gli uomini. La religione di Gesù Cristo è realmente questa religione dell’amore, dell’amore perfetto. Se questa religione si diffondesse nel mondo intero, esso diventerebbe un paradiso». Parole quanto mai attuali quelle di padre Massimiliano Kolbe, santo polacco che ha conosciuto il martirio del campo di concentramento di Auschwitz.


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Nato a Zdunska Wola (Polonia) l’8 gennaio 1894, San Massimiliano Kolbe, matura fin da giovanissimo la sua vocazione. Da bambino ha un’apparizione della Madonna, che gli offre due corone: una rossa, simbolo del martirio, e una bianca, simbolo della purezza. A 13 anni inizia il cammino di formazione tra i Francescani conventuali di Leopoli, e a 17 professa i voti con il nome di fra’ Massimiliano.

Una vita dedicata agli altri nel segno dell'Immacolata

Durante gli anni di studio a Roma, fra’ Massimiliano fonda la Milizia dell’Immacolata, un’associazione di apostolato mariano. Il 28 aprile 1918 viene ordinato sacerdote.

Tornato in Polonia, padre Kolbe si dedica alla propagazione della Milizia dell'Ordine Francescano tra i laici e nel 1922 dà vita ad una rivista mensile per diffondere l’amore a Maria nelle anime: il “Cavaliere dell’Immacolata”.

Nel 1927, a pochi chilometri da Varsavia, San Massimiliano Kolbe fonda la prima Cittadella dell'Immacolata, «Niepokalanów» in polacco, i cui cittadini, tutti frati, si dedicavano, vivendo in rigorosa povertà, all'apostolato per mezzo della stampa. E furono autori di un consistente boom editoriale che ancor oggi sorprende. Il «Cavaliere dell'Immacolata» decollò raggiungendo le cinquantamila copie. In seguito si affermò come settimanale con settecentocinquantamila copie (addirittura un milione nel 1938).

L'Immacolata, cui padre Kolbe ha intitolato gran parte delle sue riviste, era il suo chiodo fisso. In tempi non troppo felici per la chiesa e per il mondo, Kolbe vedeva nella Madonna l'ideale capace di scuotere le coscienze, di ridare fiato al cristianesimo; un ideale, comunque, per il quale combattere le sante battaglie della fede. Per questo, ancor prima di essere ordinato sacerdote, aveva istituito a Roma, il 16 ottobre 1917, la Milizia dell'Immacolata, uno strumento per far conoscere e vivere la devozione alla Madre di Cristo, ancor oggi vivo e prosperoso.

Nel 1930 partì missionario per il Giappone a fondarvi un'altra Città dell'Immacolata, animata dallo stesso spirito e dagli stessi ideali. Tornato definitivamente in Polonia, dopo un paio di altri viaggi «missionari» nello stesso Giappone e in altri paesi dell'oriente, padre Kolbe si dedicò interamente alla sua opera.

La seconda guerra mondiale lo sorprese a capo del più importante complesso editoriale della Polonia. Il 19 settembre 1939 fu arrestato dalla Gestapo, che lo deportò prima a Lamsdorf (Germania), poi nel campo di concentramento di Amlitz. Rilasciato l'8 dicembre 1939, tornò a Niepokalanów, riprendendo l'attività interrotta. Arrestato di nuovo nel 1941 fu rinchiuso nel carcere di Pawiak a Varsavia, e poi deportato nel campo di concentramento di Auschwitz, dove con uno straordinario atto d'amore chiuse una vita tutta spesa al servizio degli altri.

Il martirio di San Massimiliano Kolbe

Nel campo viveva una legge secondo la quale, per la fuga di uno, dieci dello blocco, venivano condannati a morire di fame in un oscuro sotterraneo. Quando all'appello della sera risultò che uno mancava un grande timore invase l'animo di tutti i prigionieri.

Il Comandante scelse con un cenno della mano chi doveva morire e ad un tratto si sentì un grido: «Addio! addio! mia povera sposa, addio miei poveri figli. Era il sergente Francesco Gajowniczek. Ma ad un tratto un uomo, anzi, un numero esce con passo deciso dalle file e va diritto verso il Comandante del campo. Chi è lei? Cosa vuole? Come osa infrangere la ferrea disciplina ed affrontare il terribile Capo? «Sono un sacerdote cattolico polacco; sono anziano, voglio prendere il suo posto, perchè egli ha moglie e figli».

Il Comandante, meravigliato, parve non riuscire a trovare la forza per parlare e stranamente accettò quella proposta.

Padre Massimiliano Kolbe insieme agli altri condannati fu avviato verso il blocco 11. Qui le vittime furono denudate e rinchiuse in una piccola cella, in cui dovevano morire di fame e di sete. Ma da questo tetro luogo, invece di pianti e disperazione, questa volta si udirono preghiere e canti. Padre Kolbe li guidava, attraverso il cammino della croce, alla vita eterna.

Tra le braccia della Madre

Rimase nel bunker per due settimane, quando le SS decisero di svuotare la cella della morte. Erano rimasti in vita solo quattro uomini tra cui Padre Massimiliano Kolbe.

Kolbe venne ucciso con un'iniezione di acido fenico, perché la cella, che egli aveva trasformato in cenacolo di preghiera e che condivideva con gli altri condannati, serviva per altre vittime. «Porse lui stesso, con la preghiera sulle labbra, il braccio al carnefice», raccontò un testimone.


PER APPROFONDIRE: Ucraina, una terra nel cuore dei santi: Massimiliano Kolbe


Lo trovarono qualche ora dopo, «appoggiato al muro, con la testa inclinata sul fianco sinistro e il volto insolitamente raggiante. Aveva gli occhi aperti e concentrati in un punto. Lo si sarebbe detto in estasi». Era la vigilia dell'Assunta, di una festa della Madre di Dio, che egli aveva sempre amato, chiamandola con il nome di «dolce mamma».

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