Avvenire di Calabria

San Massimiliano Maria Kolbe nel magistero dei Papi

Da San Paolo VI a Papa Francesco, una rilettura della ricezione del martirio del Santo di Auschwitz

di Pasquale Triulcio

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Padre Pasquale Triulcio, docente di Storia della Chiesa presso l'Istituto teologico Pio XI e già direttore dell'Issr Monsignor Vincenzo Zoccali, propone un'analisi della rilettura della figura di San Massimiliano Maria Kolbe nel magistero dei Papi, da San Paolo VI fino a papa Francesco.

Kolbe nel magistero dei Papi, da Paolo VI a Francesco

Il 29 luglio 2016 Papa Francesco è rimasto a lungo, da solo, in preghiera, “nel bunker della fame”, dove il 14 agosto 1941 morì Padre Massimiliano Kolbe, francescano dei frati minori conventuali che offerse la sua vita al posto di un giovane padre di famiglia. Il Pontefice argentino guardando al santo polacco si è posto sulla medesima scia dei suoi venerati e santi Predecessori.


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San Giovanni Paolo II il 7 giugno 1979, nel corso dell’omelia pronunciata nel campo di concentramento di Brzenzinka, disse: «Vengo qui come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui… Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Brzezinka. Non potevo non venire qui come Papa. Vengo dunque in questo particolare santuario, nel quale è nato – posso dire – il patrono del nostro difficile secolo». Sarà proprio il papa polacco a canonizzarlo il 10 ottobre 1982.

San Paolo VI – che beatificò il Kolbe il 17 ottobre 1971 – scrisse di lui, in un documento dedicato alla gioia: «Infine come non ricordare, immagine luminosa per la nostra generazione, l’esempio del beato Massimiliano Kolbe, genuino discepolo di san Francesco? Durante le prove più tragiche, che insanguinarono la nostra epoca, egli si offrì spontaneamente alla morte per salvare un fratello sconosciuto; e i testimoni ci riferiscono che il luogo delle sofferenze, ch’era di solito come un’immagine dell’inferno, fu in qualche modo cambiato, per i suoi infelici compagni come per lui stesso, nell’anticamera della vita eterna dalla sua pace interiore, dalla sua serenità e dalla sua gioia».

A Papa Montini farà eco nel 2005, in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù, Benedetto XVI, che alla presenza di circa un milione di giovani, assiepati sulla spianata di Marienfield proporrà Massimiliano Kolbe come uno dei più importanti santi “dei nostri tempi”. Un passaggio della sua omelia tenuta in varie lingue, è significativo, in quanto ribadisce l’attualità e l’universalità del martire: «(Les Saints) Il nous montrent ainsi la route pour devenir heureux, ils nous montrent comment on réussit à être des personnes vraiment humaines. Dans les vicissitudes de l’histoire, ce sont eux qui ont été les véritables réformateurs qui, bien souvent, ont fait sortir l’histoire des vallées obscures dans lesquelles elle court toujours le risque de s’enforcer à nouveau […]. Il suffit de penser à des figures comme saint Benoît, saint François d’Assise, sainte Thérèse d’Avila, saint Ignace de Loyola, saint Charles Borromée, aux fondateurs des Ordres religieux du dix-neuvième siècle, qui ont animé et orienté le mouvement social, ou aux saints de notre temps – Maximilien Kolbe, Edith Stein, Mère Teresa, Padre Pio».

Papa Francesco sei anni fa è rimasto a lungo, da solo, in preghiera, “nel bunker della fame”. Di quel giorno si ricorda infatti la preghiera solitaria di Francesco seduto su una panca, accanto al muro delle esecuzioni, dove ancora sono visibili le chiazze di sangue rappreso dei prigionieri colpiti a morte con un proiettile alla nuca. Il vaticanista Salvatore Cernuzio ha scritto: «E rimane lo sguardo commosso durante i quindici minuti trascorsi nella penombra della cella 18 – la cosiddetta “cella della fame” - in cui fu rinchiuso san Massimiliano Kolbe, Una scelta mirata e ragionata quella del Pontefice di condurre le circa due ore di visita ad Auschwitz nel totale silenzio. Un modo per urlare al mondo che, ancora, dopo quasi ottant’anni, non c’è alcun verbo sufficiente a descrivere la logica perversa che generò quell’abisso di crudeltà ricordato nella storia come Shoah».

P. Kolbe era giunto ad Auschwitz pochi mesi prima (maggio ’41). Alla fine di luglio uno dei prigionieri del suo blocco riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci compagni vennero destinati al “bunker della fame”, cioè un luogo dove attendere una morte drammatica, senza cibo e senza acqua. Tra essi c’era un padre di famiglia, Francesco Gajowniczek che scoppiò disperato in lacrime nominando i suoi cari. Padre Kolbe, con un gesto inaudito, si offrì di morire al suo posto. Lo scambio venne accettato e fu rinchiuso con con gli altri nove nel bunker della fame. In quei giorni tragici, padre Kolbe seppe trasformare la disperazione di tutti in una rassegnazione piena di fede e affidamento al Signore: il bunker risuonò così per due settimane di canti e preghiere via via sempre più flebili e spente. Quando le guardie entrarono nel bunker era il 14 agosto. p. Kolbe che era ancora vivo viene finito con una iniezione di acido fenico. Il giorno dopo, giorno della Festa di Maria Assunta in cielo, i loro corpi vennero cremati e le ceneri disperse. Padre Massimiliano aveva 47 anni.

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