Avvenire di Calabria

Abbiamo incontrato allenatori e atleti del Team Calabria di Special Olympics: un'esperienza di inclusione trentennale sullo Stretto

Special Olympics, la Calabria vince sul campo delle opportunità

«Non c’è un metodo specifico per allenare chi ha una disabilità - spiega il coach - se non quello di approcciare con normalità»

di Francesco Creazzo

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Abbiamo incontrato allenatori e atleti del Team Calabria di Special Olympics: un'esperienza di inclusione trentennale sullo Stretto. «Non c’è un metodo specifico per allenare chi ha una disabilità - spiega il coach - se non quello di approcciare con normalità».

L'esperienza degli Special Olympics in Calabria

La professoressa Luisa Elitro da 28 anni è il motore della società sportiva Andromeda: 28 anni fatti di inclusione delle persone con disabilità in circuiti sportivi, e specialmente nell’esperienza e nella tradizione ultracinquantennale di Special Olympics.

L’ultima avventura sportiva, dopo il nuoto, le ciaspole e tante altre attività affrontate dagli atleti nel corso degli anni, è quella della pallacanestro, per la quale, in alcune occasioni, la realtà reggina ha fatto rete con quella catanzarese guidata dal coach della squadra Francesco Miscioscia, componendo il Team Calabria Special Olympics.

Ma la particolarità di questa esperienza, oltre a quella di essere uno sport di squadra, è quella di essere sport unificato: nella stessa squadra, cioè, giocano atleti con e senza disabilità, in situazione di perfetta eguaglianza, allo scopo di praticare quella che la professoressa Elitro chiama «inclusione naturale».

«È questo - spiega ai nostri microfoni la professoressa - il segreto di questo approccio, qui non si parla di integrazione, ma di inclusione naturale, cioè di trattare gli atleti con disabilità come persone alla pari quali sono, e così si crea un ambiente assolutamente amalgamato, una grande famiglia in cui gli atleti con disabilità possono esprimersi, crescere, superare le difficoltà ed esprimere le proprie potenzialità».


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«Facciamo due percorsi - spiega la docente di educazione fisica -Special Basket, una partita di basket classica ma conquarti da 8 minuti invece di 10 e l’avviamento propedeutico per i ragazzi che stanno imparando invece i fondamentali del gioco. I nostri ragazzi gioiscono in ogni caso, anche quando non vincono: il motto di Special Olympics infatti è “che io possa vincere ma se non riuscissi che io possa tentare con tutte le mie forze”».

Un luogo dove gli atleti con disabilità posso imparare a giocare, ma attraverso lo sport anche lezioni importanti per la vita quotidiana: «Alcuni di loro, per esempio - racconta ancora Luisa Elitro - avevano problemi col contatto fisico che uno sport come il basket ha naturalmente fatto scomparire, grazie all’aiuto del nostro staff ma anche al coraggio dei ragazzi. Anche dal punto di vista della socializzazione qui si fanno passi avanti importanti: una ragazza una volta mi disse “in questa squadra non mi scherzano mai”, è un ambiente protetto e i ragazzi si vogliono bene».

Il Coach e i partner: «Gli atleti ci insegnano moltissimo»

I punti di riferimento degli atleti Special Olympics sono il coach, Francesco Miscioscia e gli atleti partner, i giocatori senza disabilità che si allenano al loro fianco e fanno parte della squadra.

«Non c’è un metodo specifico per allenare chi ha una disabilità -spiega il coach - se non quello di approcciare con normalità: sono persone che vanno trattate come gli altri ragazzi, esattamente secondo il protocollo della Federazione italiana pallacanestro. Magari alcuni ragazzi all’inizio non si aspettavano un allenatore che gli passasse pallone al petto, da quel gesto hanno capito che dovevano giocare a basket, che in loro non vediamo persone con dei limiti, ma uguali alle altre».

Il coach aggiunge: «Lo sport è una medicina per fare emergere potenzialità e abilità, è uno strumento di uguaglianza. Il torneo Europeo che abbiamo disputato a San Sepolcro, in Toscana è stata un’esperienza ottima, pensavamo di essere cenerentola del torneo invece ci siamo distinti in positivo anche grazie all’impegno atleti partner nell’affiancarsi ai compagni di squadra. È stata anche un’esperienza di vita per molti ragazzi, che per la prima volta erano lontani dai genitori, una cosa importantissima che ci ha fatto fare uno scatto in avanti come gruppo».

E il fulcro attorno al quale ruota il modello dello sport unificato sono proprio gli atleti partner: Francesco Triolo, Francesco Gallo, Demetrio Malavenda e Francesco Zampaglione sono tutti giovani poco più che 20enni, i primi tre sono giocatori di serie inferiori.


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Ognuno ha le proprie motivazioni per scegliere di affrontare un percorso così peculiare ma anche ricco di bellezza: «Bisogna sapersi mettere a disposizione degli altri atleti -racconta Francesco Triolo - non sopraffare ma stare accanto, ricordarsi che i protagonisti sono loro ma allo stesso tempo amalgamarci, saperli valorizzare ed essere di supporto».

Francesco Gallo, invece ha sottolineato di aver «subito aderito con entusiasmo perché colpito dai ragazzi e da questa attività che si coniuga bene con la mia passione per la pallacanestro, così ci siamo messi in moto per aiutare i ragazzi ad apprendere valori e fondamentali di questo sport. Il punto centrale è cercare di superare gli ostacoli, perché nessuno ha limiti e tutti possono giocare».

D’accordo anche Demetrio Malavenda: «È difficile descrivere questa esperienza, si deve vivere per poterla capire. Per noi che siamo dei giocatori di serie minori è stimolante cercare di aiutare gli atleti a imparare il palleggio, affiancarli nella crescita».

«Ho deciso di iniziare questo percorso per mio fratello che è un atleta - racconta Francesco Zampaglione - I ragazzi mi insegnano molto, a passare più tempo insieme, ad aprirmi agli altri invece di chiudermi».


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Il fulcro del progetto: ragazzi e famiglie

C’è chi ha iniziato da poco e chi è un veterano di Special Olympics, chi ha praticato tante discipline e chi esordisce, ci sono i sorrisi di intere famiglie che, persino durante gli allenamenti (che costano chilometri e sacrifici) non smettono mai di sostenere i propri “idoli sportivi” come tifosi speciali dei propri atleti straordinari.

Sia i ragazzi che le loro famiglie sono entusiasti di un percorso che, dicono, è di crescita costante e ha ripercussioni positive sulla qualità della vita dei giovani atleti.

Patrizia Altomonte è la mamma di Federico, atleta appena 12enne ma già “veterano” di Special Olympics in tante discipline: «Per mio figlio questa esperienza è un costante motivo di crescita, un percorso che ha iniziato a 9 anni con il nuoto, poi con la camminata in ciaspole e adesso proseguito con il basket unificato. È spettacolare vedere giocare questa squadra, vedere l’amalgama che c’è tra i nostri figli e gli atleti partner. Per mio figlio è molto importante questa possibilità di raffrontarsi con una squadra, con un gruppo che è una grande famiglia».

E anche i ragazzi hanno solo parole positive per il percorso che stanno affrontando. Valentina Marcianò ha 17 anni: «Mi alleno dal 2022 - ci ha raccontato - Ci alleniamo spesso, e a maggio andremo a giocare in Puglia. Siamo un gruppo speciale, ci vogliamo bene come una famiglia, io sono fortissima a basket e perciò mi sento forte anche nella vita, infatti ho perfino superato la mia paura della palla».

Tra i più entusiasti c’è Carlo Anania che ha iniziato a giocare appena nello scorso ottobre ma è un vero appassionato della palla a spicchi: «Mi piace molto giocare, porto il numero 23 in onore di Michael Jordan che è il migliore giocatore che ci sia stato al mondo. I miei compagni sono bravissimi e mi trovo bene con loro».

Abilità davvero sorprendenti anche quelle di Daniele Curatola, appena 14 anni e ancora in fase di formazione ma che già mostra una super vena realizzativa e un feeling speciale col canestro.

Daniele è ipovedente ma il canestro ormai ha pochi segreti per lui, grazie al rimbalzo afferra il pallone al volo e il più delle volte lo insacca nella retina. Il suo segreto? «Mi preparo e ricevo la palla, prima ascoltando il rimbalzo, poi la prendo, palleggio e tiro e normalmente faccio canestro». Le loro voci sono solo alcune tra quelle dei tantissimi e bravi atleti del team di basket Special Olympics.

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