Avvenire di Calabria

Il racconto della giovane Mattia è sincero

Un insulto, il primo passo verso il «mio posto nel mondo»

I ''poveri'' «ti spezzano per poi rimettere tutto al posto giusto»

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Mattia Megalizzi che, per un anno, ha svolto il proprio servizio civile in Caritas, nel Centro d'ascolto "Monsignor Italo Calabrò" di Archi

"L’amore disarma’’. Ecco la sintesi del mio anno di servizio civile. Potrei non aggiungere altro perché  le parole non basterebbero per raccontare tutte le emozioni che ho provato. E pensare che non sapevo nemmeno dove fosse Archi, l’avevo letto sui giornali, sui libri dell’università. ‘’Terra di nessuno’’ mi dicevano. Adesso invece per me è casa  perché lì ho lasciato tanti pezzetti di cuore, e non me lo aspettavo. Ricordo benissimo il primo giorno di servizio: era lunedì e dopo mezza mattinata a scartare mapo  faccio il primo incontro destinato a cambiarmi la vita. Lui mi viene in contro , mi scruta e..incomincia ad insultarmi che nemmeno fossi l’arbitro della partita Reggina-Messina. Ebbene si, il primo povero che incontro che fa? Incomincia ad insultarmi. Ho pensato subito  “Fermate tutto, io me ne vado’’ e giù a piangere. Io, che ho passato una vita a fare la dura mi trovavo a piangere, il primo giorno di servizio, per colpa di una persona che per mia spontanea volontà avevo scelto di aiutare. Inutile dire quanto il mio cuore e la mia testa si sentivano scombussolati già dopo il primo giorno.  Per cercare di consolarmi una delle mie colleghe, che mi conosceva praticamente da poco più di due ore, di cui non ricordavo nemmeno il nome, si avvicina a me e mi abbraccia forte,a lei si aggiungono anche le altre. Ecco il secondo incontro destinato a cambiarmi. Tre ragazze con le quali ho condiviso praticamente tutto. Con loro ho gioito, giocato, gridato, riso fino a perdere il fiato; ma soprattutto con loro sono stata me stessa. Con le mie fragilità le mie insicurezze e le mie botte di scemenza.  In costante ricerca del mio posto nel mondo giorno dopo giorno realizzavo che non basta stare dentro le situazioni, è come ci stai che fa la differenza. Questo l’ho capito grazie agli altri due importanti incontri che ho fatto. La prima persona continuava a ripetere ‘’i poveri vi provocheranno in continuazioni, faranno a pezzi il vostro cuore per poi ricomporlo’’, questa cosa per me era inaccettabile. Mi chiedevo perche dovevo lasciarmi distruggere,  io che già in passato lo avevo fatto abbastanza. Ebbene, dopo mesi di servizio ho capito che la mia domanda era completamente sbagliata. Dovevo focalizzare la mia attenzione non sul cuore fatto a pezzi ma sul fatto che prima o poi quei pezzetti sarebbero tornati tutti al loro posto. Ecco allora come le provocazioni che i poveri mi lanciavano diventavano strumenti geniali per farmi crescere. Per trasformare tutte le mie ferite in feritoie che hanno permesso al mio cuore di ricevere luce. La seconda persona invece è stata quella che ha tracciato la mia via sia materialmente che spiritualmente. Sempre pronta ad ascoltare  consolare e riprendermi con dolcezza, la stessa che una  madre ha verso la figlia. Perché è un po’ cosi che mi sono sentita in questo anno. Mi sono sentita figlia compresa e spronata. Mi ha fatto capire quanto sia importante mettere a servizio i doni che ci sono stati fatti. Perché  se davvero voglio cambiare la mia terra devo darmi da fare. Partire dagli ultimi, dai poveri. I miei poveri. Anime  che tutti i giorni si trovano a scontrarsi con una società che non li considera. Dietro ad una porta sbattuta, una risposta scorbutica, non c’era solo lo scontento per aver ricevuto  una maglia rossa anziché blu. C’era molto di più. Combattono quotidianamente la loro battaglia con la vita, un po’ come tutti. Con la differenza però che loro non hanno un lavoro,non hanno una casa, non hanno una famiglia, non hanno niente. Mi disse un giorno un ospite‘’I miei unici amici siete voi’’,  ed io di amici in questo anno ne ho trovati davvero tanti. Penso ad esempio gli animatori di strada, ragazzi straordinari che con un pallone e tanta buona volontà portano avanti il progetto comune di educare i ragazzi di Archi alla logica della non violenza. Non vince il più forte, vince chi s’impegna, chi fa squadra. Proprio come in una partita di pallone.

 L’ultimo incontro, quello più importante, l’ho fatto in un periodo in cui avevo deciso di mettere in discussione tutto, e il mio Tutto l’ho riscoperto in una piccola stanzina del centro. Lì le mie giornate di servizio iniziavano e finivano. Una piccola cappella che profumava di fiori. Perché ho capito che ‘’Non ci si salva mai da soli’’ non è semplicemente una frase fatta, è una realtà. Perché quando per trenta ore settimanali incontri sguardi colmi di sofferenza,ascolti storie piene di ingiustizia, inizi a sentire la necessità di affidarli a Qualcuno, perché sola non puoi farcela. In questi dodici mesi ho intrecciato la mia vita con quella di tante persone, questo mi rende  diversa rispetto a com’ero un anno fa.  Pian piano ho imparato a dare il giusto valore a ciò che mi circonda, ai sorrisi, agli sguardi, ad ogni stretta di mano. Ho fatto tanta strada e tanta altra dovrò farne. Grata  della possibilità che mi è stata data ringrazio di cuore tutti coloro che ho incontrato lungo questo percorso  che mi hanno sopportato e supportano quotidianamente e che, anche inconsapevolmente, mi hanno aiutato a costruire il mio "posto nel mondo".

Articoli Correlati