Avvenire di Calabria

Da lupetto a capo-scout, Gianluca Cutrupi racconta la sua esperienza iniziata ben venticinque anni fa

Gli Scout accanto agli ultimi: «La mia uniforme, il mio servizio»

Il suo cammino di formazione cristiana si intreccia con la sensibilità educativa e solidale dei giovani

di Gianluca Cutrupi

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Cosa rappresenta l'uniforme per un ragazzo Scout? Tantissimo, specie se si rapporta ai tantissimi ricordi che lega i ragazzi al fazzolettone durante l'attività di servizio con le persone che vivono una difficoltà.

L'uniforme degli Scout tra gli invisibili

Diceva Baden Powell: «Il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri». Lui, il fondatore dello scautismo, ne ha scritte e tramandate frasi, ma questa è quella che più di tutte mi ha da sempre colpito e che porto con me. Perché parla di felicità, perché parla degli altri. La mia storia spesa per questi tanti “altri” l’ho cominciata proprio all’interno del gruppo scout. La parrocchia è da venticinque anni quella del Duomo. Sin da piccoli questo mondo trasmette valori quali la lealtà, l’amicizia, la laboriosità, il saper stare con gli altri, in una comunità dove tutti siamo uguali e diversi, unici ma fratelli. Più cresci e più impari a doverti prendere cura degli altri. Da lupetto lo cominci ad intuire con le buone azioni, da Esploratore lo prometti come fosse una virtù cavalleresca, da Rover infine lo maturi e lo fai tuo con maggiore consapevolezza. Non solo, impari anche che a stare con gli altri, a prendertene cura, insomma, mentre lo fai, provi gioia.


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Una gioia strana, diversa, di quella che difficilmente trovi per strada o quando vinci una partita a pallone o quando prendi un bel voto. È una gioia che resta nell’aria. Che vedi, che senti; perché nel momento in cui la trasmetti donandoti, alla fine ti ritorna. È come un cerchio della gioia come scriveva don Bruno Ferrero in una delle sue tante storielle piene di morale. E questo agli scout lo impari. C’è una dimensione specifica che in clan si è chiamati a vivere ed è proprio il servizio. Ed io cominciai a farlo in una casa di cura per anziani un lontano dicembre del 2005 ad un campo invernale. A dire il vero mi sentii molto a disagio, non sapevo che fare, non riuscivo a farmi coinvolgere. Poi, circa un anno dopo, cominciai invece un servizio diverso, continuativo. Ogni settimana andavo alla Scuola della Pace a San Giorgio Extra dove con la comunità di Sant’Egidio davamo una mano ai bambini rom a fare i compiti finendo con la merenda e qualche gioco. Da lì arrivarono nuove esperienze: il servizio alla Domus Nazareth e l’Animazione di Strada ad Archi rappresentano quelle che mi hanno fatto crescere e maturare tanto.

Ci sono rimasto per tanti anni. Son state ricchezza, formazione, spiritualità, scoperta. Grazie al fazzolettone sul collo ho poi vissuto esperienze diverse anche nell’accoglienza dei migranti al porto, al servizio di strada, alla mensa dei poveri, conoscendo tante realtà presenti nel nostro territorio. Ho raccolto davvero tanta bellezza. «Il servizio è quella dimensione per cui non sai, tra colui che dà e colui che riceve, chi per primo debba dire grazie». L’ho sempre vista così. Ed oggi posso ancora continuare a dirlo. Ho avuto il privilegio di continuare nel mio gruppo facendo il capo educatore ed ho scelto di farlo nella mia vita come lavoro.


PER APPROFONDIRE: “Passi di Pace”, Morrone agli scout: «Non giochiamo mai alla guerra»


Dico sempre che ho avuto la fortuna di chiamare lavoro quello che da ragazzo chiamavo servizio. Concludo con due riflessioni: la prima sa di speranza, che queste parole non vogliano esser percepite come un’autocelebrazione ma come una testimonianza che possa essere utile e che possa far riflettere. La seconda invece è un’esortazione: per me son stati gli scout, ma ci sono tante altre realtà presenti in città che educano e operano nel sociale. Il grazie allora va a tutte quelle persone che si spendono in questo settore con tanto sacrificio e tanta passione e alle tante altre che da semplici cittadini vivono con costanza e gratuità il proprio volontariato nel territorio. Spero di esserne stato un umile portavoce di quanta bellezza si possa scoprire in se stessi se solo ci si dedica agli altri.

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