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In occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, raccontiamo la storia di Angela (nome di fantasia), una donna che è riuscita a spezzare il ciclo della violenza grazie al coraggio, all’amore per le sue figlie e al supporto di un centro antiviolenza. Francesca Mallamaci, responsabile del Centro Antiviolenza e Casa Rifugio “Angela Morabito” della Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio Calabria, approfondisce, invece, le sfide e le esigenze di chi lavora ogni giorno per aiutare le donne vittime di violenza.
Mi sento, rispetto a prima, una donna libera. Le cose di cui non conoscevo l’esistenza, adesso so cosa significano: libertà, voler bene a una persona, essere affiancata da chi ti vuole bene. Prima non conoscevo questa parte bella della vita, ma grazie alle mie figlie e alle persone che mi hanno aiutato, ho intrapreso il mio nuovo cammino».
Angela, nome di fantasia, racconta con la voce carica di emozione la sua storia di rinascita. Una vita, la sua, che per anni era stata intrappolata in un vortice di violenza e controllo da parte di chi avrebbe dovuto amarla. «Era come vivere in carcere: non potevo uscire, parlare, avere amicizie. Non avevo una mia personalità, mi sembrava di non esistere. Credevo che tutto questo fosse amore, una forma di protezione. Poi sono arrivate le mie bambine e ho iniziato a vedere le cose in modo diverso. Ho osservato i rapporti tra altre mogli e i loro mariti. Qualcosa nella mia relazione non funzionava».
Il percorso di rinascita, però, non è stato rapido. «Ci sono voluti anni. Avevo paura di lui, una persona forte, ma grazie alle mie bambine mi sono rivolta alle forze dell’ordine». Angela ricorda l’ultimo episodio che le ha cambiato la vita: «Era tardi, mi sono preparata per andare a dormire. Lui era in camera da letto e sembrava addormentato, con gli occhi chiusi e la televisione accesa. Cercavo di fare tutto in silenzio per non disturbarlo. Ho cambiato canale, pensando che non si sarebbe accorto di nulla. Ma all’improvviso ha iniziato ad aggredirmi. Mi stava soffocando. È stata mia figlia, la più piccola, che si trovava nella stanza accanto, a salvarmi: ha sentito il rumore di un pugno e si è precipitata da me. Ha chiamato la sorella più grande che era a casa dei miei genitori. Lei, a sua volta, capendo la gravità della situazione ha avvisato le forze dell’ordine».
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Costruire una nuova vita, non è stato facile racconta ancora Angela. «Mi sentivo in colpa verso le mie figlie per non aver detto subito la verità. Il legale del mio ex marito mi aveva detto che, se avessi parlato dei maltrattamenti subiti anche dalle bambine, i servizi sociali me le avrebbero portate via. Vivevo con questa paura. Alla fine, durante un’udienza, ho raccontato questo. E da lì è finito tutto: le mie figlie mi sono state affidate in via esclusiva e lui non può più avvicinarsi».
Angela ha trovato forza anche nel centro antiviolenza della Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio Calabria, conosciuto grazie al suo avvocato. «Mi hanno sostenuta e fatto capire che quello che avevo vissuto non era normale. Oggi dico alle donne: non abbiate paura, dite la verità. Non cedete alle bugie che i servizi sociali vi porteranno via i bambini. Io ho ottenuto il loro aiuto». «Il mio futuro? Sto studiando, voglio frequentare l’università e sentirmi finalmente una persona migliore».
«Il nostro centro antiviolenza è operativo a pieno regime, perché purtroppo le donne vittime di violenza sono tante e continuano le richieste di accesso al servizio per il necessario supporto», spiega Francesca Mallamaci, responsabile del Centro antiviolenza (Cav) e della Casa rifugio “Angela Morabito” della Piccola Opera di Reggio Calabria, nel rimarcare come la lotta contro la violenza sulle donne «è un impegno quotidiano, non solo una ricorrenza».
Sì, il fenomeno è crescente. Fortunatamente, sempre più donne prendono consapevolezza e fiducia nel servizio. Purtroppo ci si ricorda di loro solo in certi momenti, ma hanno bisogno di parlare della violenza vissuta costantemente.
Ogni storia è a sé, quindi non possiamo adottare gli stessi interventi. La progettualità è individuale, basata sulla storia, i bisogni e il vissuto della donna. Alcune donne riescono a chiedere aiuto alle prime avvisaglie, ma per molte non è così.
Spesso denunciano, poi rimettono la querela e continuano per amore dei figli e per stereotipi ancora diffusi. Noi le prendiamo in carico a 360 gradi, ma dopo il percorso di consapevolezza rispetto alla violenza subita e alla responsabilità del maltrattante, hanno bisogno di riprendere in mano la propria vita.
Il reddito di libertà è fermo al 2022. Anche chi ha presentato richiesta nel 2023 non ha ancora ricevuto nulla. In Calabria, molte donne si trovano costrette ad affitti in nero con mensilità elevate. Anche i tirocini formativi spesso non portano a contratti stabili, e questo crea ulteriori difficoltà. Ritiene che vi sia un rischio di vittimizzazione secondaria? Molti casi di vittimizzazione istituzionale e messa in dubbio della capacità genitoriale rendono queste donne doppiamente vittime, al punto che alcune si chiedono perché abbiano denunciato.
Risposte concrete da tutte le istituzioni, soprattutto a livello politico. Le donne necessitano di lavoro, una casa e un reddito di libertà che non resti solo sulla carta. Un messaggio alle donne? Non è facile, ma uscire dalla violenza è possibile. È importante rivolgersi a centri antiviolenza autorizzati dalla Regione, perché questo tipo di supporto non si improvvisa ma richiede formazione adeguata. Mi hanno sostenuta e fatto capire che quello che avevo vissuto non era normale. Oggi dico alle donne: non abbiate paura, dite la verità. Non cedete alle bugie che i servizi sociali vi porteranno via i bambini. Io ho ottenuto il loro aiuto». «Il mio futuro? Sto studiando, voglio frequentare l’università e sentirmi finalmente una persona migliore».
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