Avvenire di Calabria

Subito dopo la fine delle quarantene il numero di episodi è esploso. Di Palma: «Convivenza forzata è stata durissima. A tavola con persone quasi sconosciute»

Baby-gang “figlie” di adulti immaturi, l’intervista a Roberto Di Palma

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minori di Reggio Calabria “legge” i casi: «Spesso sono ragazzi cresciuti in famiglie medio-borghesi»

di Federico Minniti

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Baby-gang “figlie” di adulti immaturi, l'intervista a Roberto Di Palma. Subito dopo la fine delle quarantene il numero di episodi è esploso. Di Palma: «Convivenza forzata è stata durissima. A tavola con persone quasi sconosciute». Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minori di Reggio Calabria “legge” i casi: «Spesso sono ragazzi cresciuti in famiglie medio-borghesi».

Baby-gang “figlie” di adulti immaturi, l'intervista a Roberto Di Palma

Violenza tra minori, baby-gang e gare estreme sui Social network. Una fenomenologia che continua a preoccupare. Ne abbiamo parlato con Roberto Di Palma, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.

Il doppio episodio di violenza tra minori riaccende i riflettori sull’universo giovanile.

Purtroppo bisogna costatare come ci muoviamo sempre su un livello emergenziale. Il disagio giovanile, però, ha radici profonde. Si tratta di un fenomeno che non riguarda solo Reggio Calabria. Le origini sono da rintracciare nella crisi della famiglia e non parliamo di “casi estremi”. I ragazzi reggini coinvolti in questi fatti sono «quelli della porta accanto», appartengono alle famiglie medio-borghesi e non frequentano zone emarginate della città.


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Ragazzi a cui “apparentemente” non mancherebbe niente. Quindi perché lo fanno?

Dovremmo approfondire la “filosofia del branco”. I nostri ragazzi cercano continuamente “consenso” per uscire dall’essere l’uno tra tanti. Spesso sentendo i minori rispetto a fatti anche gravi, la loro risposta è: «Se non lo facevo, gli altri mi avrebbero preso in giro». Per evitare di essere emarginati, tanti ragazzi si prestano a fare cose in branco ben lontane dal loro pensiero individuale.

Tutta questa violenza, secondo lei, può essere uno dei primi “effetti sociali” dei lockdown generalizzati?

La mia risposta è statisticamente valida: in effetti, dopo la fine del periodo più duro della pandemia, c’è un incremento dei casi. La compressione della socialità alla sola famiglia non va sottovalutata: per tanti è stata un vera e propria convivenza forzata.

In che senso?

La famiglia non va intesa in modo “tradizionale”. Durante i lockdown, chiusi tra le mura domestiche, si sono ritrovati tra “quasi sconosciuti” che hanno dovuto adattare la propria vita a quella di chi, fino a quel momento, aveva un ritmo distante da loro. Quanti ragazzi si sono ritrovati a tavola coi propri genitori, dopo mesi? Se parliamo di famiglia, dobbiamo avere il coraggio di parlarne fino in fondo.


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E, poi, c’è il “carico” dei Social network. Uno spazio in cui le violenze spesso vengono messe in bella mostra.

Sbagliato demonizzare gli strumenti, come è sbagliato demonizzare tout court le serie televisive di gangster. Anche in questo caso bisogna osservare l’utilizzo che si fa di questi strumenti. Chi vigila sui Social network dei ragazzi?

A proposito di controlli, c’è chi invoca maggiori controlli sul territorio. Lei cosa ne pensa?

Se vengono intesi in via preventiva e non repressiva siamo, credo, tutti ampiamente d’accordo. Ma anche su questo aspetto bisogna fare i conti con la realtà: quante forze dell’Ordine ci sono per presidiare il territorio? Altrove, come a Milano, si stanno orientando risorse e uomini per arginare questo fenomeno. A Reggio Calabria, probabilmente, si dovrà riuscire con le forze attuali.

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