“Io non volevo colpire con il cestino la prof, ma un mio compagno di classe. Chiedo scusa”. Viva il pentimento. È quello del ragazzino responsabile, in una scuola superiore di Mirandola, nel Modenese, del lancio di cestino in classe. Cestino che ha finito per colpire l’insegnante e, grazie all’immancabile video su smartphone diffuso su Youtube ha finito per creare un caso di cui hanno discusso un po’ tutti, dai media al mondo scolastico. Il caso ha avuto anche uno strascico giudiziario, con due minorenni denunciati per interruzione di pubblico servizio e violenza a pubblico ufficiale, ed un terzo coetaneo, invece, per diffamazione. Ma in quella classe – spiega lo studente poi “pentito” davanti alle telecamere di una televisione – “tutti fanno casino” e l’episodio del cestino non sarebbe il primo né l’ultimo caso in un ambiente difficile. Tra l’altro, del filmato è stata sottolineata l’assenza di reazione dell’insegnante, che avrebbe subito come se non stesse succedendo nulla. E qualcuno ha anche visto in questo episodio la resa simbolica della scuola di fronte alla prepotenza e al bullismo. Ma, verrebbe da pensare, cosa avrebbe dovuto fare l’insegnante? Alzarsi e prendere per le orecchie un quindicenne? O restituire il lancio del cestino? Magari tirando qualcos’altro? La dirigente dell’istituto ha spiegato così l’atteggiamento di chi stava in cattedra: “Non reagire in quel momento è stato il suo modo di superare l’umiliazione e di proteggere, in un certo senso, l’Istituto e il ragazzo stesso, appena rientrato dopo una sospensione di 15 giorni”. E qui si apre un mondo che evidentemente il video di Youtube non può catturare. “In quella classe – è ancora la preside a parlare – la professoressa si è ritrovata più volte ad affrontare situazioni sgradevoli ma ha sempre sopportato e ha provato la via della comprensione, della tolleranza, perfino della dolcezza”. La sua, dunque, è stata mancanza di reazione o una scelta, con consapevolezza del ruolo e delle possibilità? Le domande rimandano alla complessità della situazione scolastica e alla banalità piatta di un video che, invece, si pensa possa dire tutto. Ma forse quello che non si vede è molto di più. Sempre dalla scuola fanno sapere di molte azioni in contrasto ad azioni scorrette, anche gravi, di alcuni ragazzi: dall’informativa al provveditore, alle sospensioni, ai richiami alle famiglie e ai provvedimenti per i ragazzi stessi. “Ho perfino spostato le due classi più problematiche vicino alla presidenza per poterle controllare meglio”, ha spiegato la dirigente scolastica. Fino alla denuncia dai carabinieri. “A Mirandola – così si è espressa la ministra Fedeli – l’istituzione scolastica non è rimasta inerte, ma ha fatto e sta facendo la propria parte”. Certo, gesti di violenza e di bullismo rimandano immediatamente a una sconfitta. E probabilmente suscitano giusta indignazione. Ma il tema vero è come contrastarli a scuola. Con che stile? Con quali atteggiamenti? Forse a volte servono le punizioni, a volte la calma che può anche far pensare alla rassegnazione… Quello che non deve mancare mai – lo ha ricordato ancora la ministra – è la consapevolezza del “ruolo educativo”, capace di tener conto “della minore età dei soggetti coinvolti”. Non per essere vittime inermi nelle mani di piccoli bulli, ma per riservarsi di poter intervenire con efficacia, anche fuori dalle riprese fatte coi telefonini.
Abbandono scolastico, violenza minorile, il rapporto con le famiglie, sono solo alcune delle emergenze al centro dell’incontro con il direttore generale dell’Usr, Antonella Iunti.
Non un catechista ma un vero insegnante. Il direttore diocesano spiega come cambia il ruolo del docente di religione cattolica all’interno del mondo della scuola.
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