Avvenire di Calabria

Caso Palamara, forse alla politica questo disordine conviene…

Nelle ultime settimane, dopo la fine della stretta del lockdown, è tornata all’onore delle cronache la vicenda giudiziaria legata al Csm: capiamone di più

Davide Imeneo

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Nelle ultime settimane, dopo la fine della stretta del lockdown, è tornata all’onore delle cronache la vicenda giudiziaria legata al Csm e alle intercettazioni di Luca Palamara. Storia che ha avuto anche un ampio risalto locale in quanto sono state pubblicate alcune intercettazioni tra Palamara e magistrati che svolgono il proprio lavoro in uffici del distretto di Reggio.

Non tocca esprimere facili e superficiali giudizi in questa fase, ancora iniziale, dell’iter giudiziario. È più sapiente e prudente aspettarne l’esito e il verdetto dei vari gradi di giudizio. Tuttavia, se un’analisi oggettiva può essere fatta, questa è senza dubbio riconducibile alla ricerca delle cause che hanno innescato una nuova configurazione degli uffici delle Procure della repubblica, generandone una forte gerarchizzazione, e una nuova influenza del Csm rispetto alle carriere dei magistrati.

Una vera, radicata, analisi delle cause di questa nuova trama affiorata col caso Palamara, non può che avere radice nella riforma della giustizia del governo Berlusconi II. Il disegno di legge, noto anche come riforma Castelli, fu approvato dal Cdm il 14 marzo del 2002 e divenne legge il 20 luglio 2005, dopo un rinvio del Presidente della repubblica che ravvisò alcuni profili di incostituzionalità, legati soprattutto all’indipendenza della magistratura.

Per la nostra analisi interessano due aspetti di questa legge. Il primo: la riforma per l’avanzamento della carriera dei magistrati, non più vincolato soltanto all’età, ma anche a criteri meritocratici. Il secondo: l’organizzazione delle procure. Il procuratore capo diviene il responsabile unico dell’andamento della procura, distribuisce o ritira deleghe ai sostituti. Stabilisce anche i criteri da rispettare da parte dei pubblici ministeri del suo ufficio, ed è l’unico autorizzato ad avere rapporti con la stampa.

Questi due aspetti sanciscono una nuova influenza del Csm rispetto alle nomine delle Procure, che possono essere fatte attribuendo anche criteri di merito, e non più solo di anzianità. Il Csm, dobbiamo ricordarlo, ha anche una “componente politica”. Un terzo dei membri viene eletto dal Parlamento, e due terzi sono riservati ai magistrati, che comunque fanno parte di correnti che rispecchiano un sentire politico, oltreché culturale.

Perciò, a conclusione della nostra analisi, appare chiaro che la riforma Castelli ha notevolmente contribuito alla “politicizzazione” della magistratura, mettendo a rischio il sano principio costituzionale della separazione dei poteri. Il caso Palamara rappresenta una conseguenza di questa legge. Dunque, non conviene riformare la giustizia affinché i criteri di assegnazione dei magistrati tornino ad essere imparziali? Come mai tutti i governi succeduti a Berlusconi, non hanno ristabilito criteri di oggettività per le carriere dei magistrati? Forse alla politica questo disordine conviene...

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