Avvenire di Calabria

Il consigliere delegato Bova: «Con i soldi risparmiati dei viaggi si può assumere personale»

Centro dialisi, ci sono i locali per il secondo polo reggino

Federico Minniti

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Reggio Calabria «potrebbe» avere il suo nuovo Centro dialisi dell’area provinciale. Il condizionale è d’obbligo in virtù di alcune controindicazioni poste dall’Asp reggina sulla sede individuata dalla Città metropolitana; si tratta, infatti, dei locali degli ex Ricoveri di Riuniti, recentemente ristrutturati dall’Ente di Palazzo Alvaro e che attendono una nuova destinazione d’uso. Lì dovrebbe sorgere il Centro dialisi in posizione strategica rispetto alla viabilità (è servito da due uscite autostradali, ma al contempo è “fuori” dal traffico del centro cittadino) e alla fungibilità in connessione con il nosocomio reggino che si trova ad un tiro di schioppo. Ne sono convinti i promotori di tale iniziativa, ossia i consiglieri delegati alla Sanità, Filippo Bova, per la Città Metropolitana, e Valerio Misefari, per il Comune di Reggio Calabria. Lo sperano fortemente tutti i pazienti emodializzati, prontamente rappresentanti da Francesco Puntillo dell’Aned e sostenuti, in questa battaglia di civiltà, anche da Maurizio Ciccarelli, medico e responsabile dell’emodialisi del Grande Ospedale Metropolitano (Gom) di Reggio Calabria.

Ma perché c’è urgente bisogno di un Centro dialisi, il secondo, a Reggio Calabria? Il motivo è spiegato dai numeri: al momento il reparto di Nefrologia del Gom può predisporre il servizio di dialisi a cento pazienti. Una disponibilità limitata e che è già stata «superata» dalla crescente richiesta in termini di assistenza sanitaria. Sono 52, infatti, i dializzati costretti a viaggiare per sottoporsi alle cure. 50 chilometri in media per ciascuno di essi, molti dei quali da passare in mare. Un calvario, quello affrontato dai reggini costretti alla traversata dello Stretto di Messina, che si ripete tre volte a settimana dalle 4 del mattino alle 22 della sera. Peccato che il 20% dei casi, scientificamente, preveda come «effetti collaterali» fenomeni di ipotensione, nausea e vomito. Molti dei pazienti sono ultrasettantenni e soffrono di altre patologie. Insomma il viaggio della speranza, per molti di loro, si trasforma quotidianamente in un «rischio calcolato». Sul pullmino che alle sei è all’imbarcadero di Villa San Giovanni gli stati d’animo sono contrastanti: «Non è la vita di un giorno – spiega la moglie di un paziente – questa cura sarà per sempre». «Cerco di resistere », ribatte il marito. Ma c’è chi la prende con meno filosofia: «C’è bisogno di risposte concrete, adesso», dice un malato, «questa condizione non esiste nei paesi cosiddetti sottosviluppati». Sfoghi legittimi che finalmente stanno ricevendo ascolto dalle alcune delle Istituzioni coinvolte. Anche perché la traversata dello Stretto è un costo esorbitante per le casse della Sanità calabrese: ben 700mila euro annui versati alla Sicilia che incrementa il debito pubblico regionale rispetto alla mobilità sanitaria. Soldi che, conti alla mano, basterebbero per strutturare l’organico necessario per avviare il nuovo Centro dialisi agli ex Ricoveri Riuniti. «Chiaramente c’è un problema di Piano di Rientro – spiega Filippo Bova – però c’è da dire che l’apertura di un secondo Centro dialisi comporterebbe degli ingenti risparmi per la Sanità calabrese: di fatti, scomputando questi mancati “sprechi” si potrebbe far fronte all’assunzione del personale che sarebbe la risposta perfetta per un territorio che non può aspettare oltre». Serve, in sintesi, volontà politica collegiale per affrontare e risolvere il problema dei cinquanta pazienti emodializzati di Reggio Calabria.

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