Come cambierà la nostra vita dopo la pandemia? Lo abbiamo chiesto a Massimo Calvi, caporedattore all’Ufficio centrale ed editorialista di Avvenire.
Coronavirus e stili di vita. L’attitudine “domestica” durerà anche dopo la fine della pandemia?
Quando è terminato il grande lockdown nazionale una delle prime cose che le persone hanno fatto è stato mettersi in fila per andare a fare shopping nei grandi magazzini di arredamento per la casa o nei centri di bricolage. Dopo tante settimane reclusi gli italiani hanno sentito il bisogno di migliorare lo spazio domestico. Non credo che si arriverà in tempi brevi a un azzeramento del Covid e a un ritorno totale e spensierato alle abitudini di prima. Ci potrà essere un momento in cui le persone avranno voglia di spingere all’eccesso alcuni comportamenti precedenti, tipo fare viaggi, partecipare a eventi… Quanto alla riscoperta della dimensione domestica l’importante è che anche in questo caso non avvenga con le caratteristiche di un ripiegamento patologico, ma si presenti come un desiderio di vita in famiglia.
Parliamo delle Città: il Covid-19 ha messo in crisi il sistema delle metropoli? Cosa pensa del south working?
Il modello della città divisa per funzioni, con i quartieri dormitorio lontano dalle zone di lavoro, è entrato un po’ in crisi in questa fase storica. Si parla invece molto della città dei 15 minuti, un modello urbano in cui ogni cittadino deve poter svolgere le funzioni fondamentali in un perimetro ristretto. Il south working può essere un’opportunità, nel momento in cui il lavoro a distanza permette di riscoprire tanti borghi o territori abbandonati. Ma la vicinanza con le città resterà fondamentale e farei attenzione agli slogan: trasferirsi al Sud per lavorare può sembrare bello e conveniente, almeno finché le aziende non decideranno di tagliare proprio chi è più lontano. È meglio che al Sud si trasferiscano anche le sedi delle imprese, non solo i lavoratori.
I lockdown hanno esasperato la vita virtuale dei nostri ragazzi. Lei cosa ne pensa?
I lockdown, e soprattutto la scuola a distanza, non hanno solo esasperato la vita virtuale dei giovani, hanno creato una situazione sanitariamente allarmante se guardiamo all’aumento delle crisi d’ansia, degli stati depressivi o peggio. È un’emergenza sanitaria non meno grave della malattia del Covid, e purtroppo se ne parla poco. Forse se ci fosse un bollettino giornaliero del disagio giovanile ce ne renderemmo conto meglio e vedremmo la crisi sanitaria in modo più equilibrato anche in termini di risposte da fornire.
Secondo lei, la società post-Covid sarà più matura o più ricca di persone sole?
Credo che in genere la gente fatichi a fare memoria delle lezioni maturate nei periodi di crisi, quando questi terminano. Quello che è certo è che questo lunghissimo periodo di incertezza e di aspettative ridimensionate, che dura dalla crisi del 2007, lascerà un segno pesante sulle generazioni più giovani. Il crollo della natalità diventerà ancora più drammatico, le famiglie saranno più piccole, e la paura del futuro potrà condizionare la voglia di costruire e mantenere legami duraturi. I cristiani hanno un grande compito nel momento in cui sono chiamati a dare testimonianza della propria fede anche attraverso la capacità di infondere speranza.