Avvenire di Calabria

Il ricordo in occasione del quindicesimo anniversario della scomparsa del sacerdote

Don Domenico Farias, padre e testimone

Redazione Web

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di Giorgio Bellieni - L’eredità e la memoria di don Domenico Farias a quindici anni dalla scomparsa (7 luglio 2002) rimane impegnativa per tante generazioni di cristiani, famiglie e professionisti formatisi nel solco del suo magistero di scienza e di vita, contemplazione e azione, promozione umana e iniziazione cristiana. Un’esperienza fatta di fatica teorica (coscienza, amore e ricerca seria della verità) e prassi (atteggiamenti storici e prese di posizione) mai scisse nella testimonianza personale e comunitaria, dalla questione meridionale (e calabrese), alla mondialità e altri segni dei tempi, studiati e condivisi nei laboratori del pensiero (università, biblioteche, gruppi) come nelle frontiere sociali, spesso religiosamente trascurate, delle “periferie” disgregate (quartiere Fondo Versace, Cep ad Archi, Trizzino sulle pendici pre– aspromontane).

Era cresciuto alla scuola dei vescovi reggini come monsignor Lanza, nelle relazioni nazionali della Fuci di Montini, nel Collegio Capranica con la generazione dell’abate Franzoni, don Monterubbianesi (comunità di Capodarco) ed altri, nell’orizzonte più ampio dell’amicizia con Ivan Illich, profeta della postmodernità, vicino a don Dossetti, tra i padri della Costituzione.

Ha impegnato la sua poliedrica cultura, scientifica prima e poi umanistica e teologico–biblica, come filosofo del diritto nella scuola giuridica messinese (tra i grandi amici Paresce, Pugliatti, Falzea, De Stefano, Panuccio), con riconoscimenti dall’Accademia dei lincei. Senza deflettere dal continuare a saldare, con vera modestia, umanesimo, scienza e teologia nel legame col senso ultimo della vita ed i problemi sociali, a servizio delle varie istituzioni accademiche della Chiesa calabrese, da instancabile animatore di dialogo tra cattolici e laici. I beni culturali, soprattutto in tempi di dimenticanza e abbandono, interpretati nel loro valore comunionale–spirituale e storico–sociale, lo hanno visto contribuire con la ricerca e nell’attività di promozione della Biblioteca arcivescovile, da lui generosamente sostenuta ed aggiornata, tesa a risvegliare il significato evangelizzatore e profetico della memoria e dei libri. Accanto a numerosi contributi, solo in parte editi, e a preziosi articoli di fondo su L’avvenire di Calabria, lascia la testimonianza della casa di famiglia utilizzata nel suo nome per la cura pastorale dei migranti, che profeticamente aveva seguito per anni sul piano religioso.

Tra le tematiche fondamentali del suo lascito si annoverano la crisi dello Stato e delle ideologie, la marginalità, la gratitudine come categoria giuridica, il problema epistemologico, antropologico e assiologico con memorabili riflessioni sul «riso» e sul «sorriso», la questione meridionale civile ed ecclesiale, i rapporti con Ebraismo e Islam. Rimane per tutti i reggini la consegna della riscoperta delle radici Paoline della nostra Diocesi e Città, assunte programmaticamente dal Sinodo come fonte viva di responsabilità missionaria e di dialogo col mondo, cifra della nuova evangelizzazione e dell’apertura verso il Mediterraneo, curata da don Farias attraverso costanti rapporti con il Patriarcato latino palestinese di Gerusalemme, con monsignor Padovese e don Santoro, martiri in Turchia Terra Santa della Chiesa e dei Padri, frontiera aperta con il mondo islamico, come la storia recente dimostra.

Ha insegnato a coniugare conoscenza, competenza professionale ed impegno socio– politico, laicità e ecclesialità, di cui è rimasta l’eredità morale nell’Istituto di formazione politica e sociale, nella cooperativa Il sentiero, nel Consultorio familiare, e soprattutto nell’associazionismo laicale del Meic, Fuci, Medici e giuristi cattolici, dei quali è stato a lungo assistente e mentore, con studi (nella collaborazione con Mariotti) sull’associazionismo cattolico e i nuovi movimenti, la collegialità e la Chiesa particolare.

La bellezza della verità e «dei giorni» (tempo come Grazia e storia come kairòs) ritornano insistenti nel suo pensiero, nella ricerca filosofica sull’ermeneutica, le ideologie, i princìpi del diritto e dei diritti, la crisi dello Stato; nell’antropologia dell’esclusione e dell’inclusione; nella teologia della carità intellettuale e politica. Ma specie nella feriale educazione alla testimonianza comunitaria e personale, incoraggiando i giovani ai rapporti intergenerazionali, al Servizio civile nella Caritas (collaborando con don Calabrò), al volontariato con le Suore di Madre Teresa, al servizio agli anziani (collaborando con don Spinelli) o ai bambini abusati e alla catechesi dei disabili o agli immigrati.

Dopo una vita presbiterale e culturale spesa consapevole, come aveva scritto per altri, che «Gli intellettuali non sono capaci né di obbedire né di comandare», alla fine dei suoi giorni ( L’avvenire di Calabria del 22 giugno 2002), ricordava che «gli ultimi saranno i primi e che i lontani precedono i vicini» nel senso che «il companatico dei vicini viene dopo il pane da offrire ai lontani», cosicché carità e giustizia, fede escatologica e storia, Dio e Cesare – Galileo dovevano conciliarsi e trascendersi.

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