di Enrico Turcato* - Era il 25 ottobre del 1980, quando un’auto pirata travolse don Paolo Milan sulla strada, dove si era fermato per assistere la madre colta da malore nel viaggio verso Milano, per il matrimonio del cugino. A quarant’anni di distanza sono in tanti che ancora custodiscono il ricordo di questo sacerdote che con passione ha svolto il suo ministero prima in diocesi di Adria-Rovigo (era stato ordinato nel 1959) dove tra le altre cose fu direttore dell’ufficio catechistico e del settimanale diocesano “La Settimana” e poi a Roma dove fu chiamato nel 1972 prima come assistente del Centro nazionale attività catechistiche dell’Azione cattolica e poi nel 1979 come assistente nazionale del settore adulti della stessa associazione.
Un desiderio nel cuore di don Milan: quello di annunciare il Vangelo con franchezza e nello stesso tempo con mitezza facendo proprio lo slancio del Concilio Vaticano II e provando, nella concretezza del suo ministero e nella collaborazione con tanti laici, a condividere «le gioie e le speranze, le fatiche e le angosce» dell’umanità. È stato prima di tutto una persona straordinaria nel normale scorrere della sua vita quotidiana e nei rapporti con quanti hanno avuto il privilegio di conoscerlo. La sua capacità di cogliere le istanze positive dentro le diverse situazioni della storia o semplicemente della cronaca lo ha portato ad esprimere, anche attraverso i moderni mezzi di comunicazione (fu tra i fondatori della Fisc e collaborò con i quotidiani polesani), la passione della Chiesa per l’uomo e per il mondo contemporaneo. «Non potevi ignorare la sua presenza sacerdotale e nello stesso tempo ti sentivi accanto ad un uomo che condivideva fino in fondo le situazioni quotidiane», così lo ricorda l’amico e già vicepresidente nazionale di Ac Livio Crepaldi. «Per lui – continua Crepaldi – nulla era mai da “buttare”» e più volte esortava i collaboratori a non «scartare nessuno» e a rimettere «gli “scartati” al centro dell’azione pastorale». Uno sguardo di inclusione, proprio del pastore “con l’odore delle pecore” capace di essere anche critico perché innamorato della Chiesa.
«Si rendeva ben conto che il tempo era cambiato – scrive su “La Settimana” Paola Bignardi, già presidente nazionale di Ac e collaboratrice di don Milan negli anni romani – e quindi doveva cambiare anche il modo di educare alla fede, se si voleva essere efficaci e dare un futuro da credenti ai più giovani. Una formazione missionaria era quella che aveva in mente don Paolo: missionaria perché si proponeva di ri-evangelizzare gli adulti e perché chiedeva loro di diventare essi stessi missionari, soprattutto presso i più giovani». «Credo – aggiunge Bignardi – che se fosse qui oggi ci direbbe che, se sappiamo ascoltare gli adulti, ci accorgeremmo che il disorientamento che patiscono anche loro insieme ai loro figli e nipoti è un appello implicito ad avere interlocutori disponibili e capaci di nuovi dialoghi di vita e di fede». Don Paolo Milan fu tutto questo. Un interlocutore appassionato e disponibile, capace di fare spazio alle sfide del mondo nel suo cuore di pastore. La sua memoria, quindi, rievoca il suono di una stupenda profezia per questo tempo incerto.
*Articolo apparso per la prima volta nell’edizione di giovedì 19 novembre 2020 de L’Avvenire