Avvenire di Calabria

"Costruire la chiesa". Don Nino Pangallo offre una lettura sulle relazioni umane: "Occorre ricentrarle dalle fondamenta" (SETTIMANA PARTE)

"Fratelli Tutti", nel dialogo i pilastri del vivere comune

Antonino Pangallo

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La parola “dialogo” oggi purtroppo non va di moda. Anche dietro melliflue diplomazie o apparenti disponibilità, si cela la chiusura individualista che considera l’altro, soprattutto se diverso da me, come un ostacolo, un nemico da abbattere o da neutralizzare. Si preferisce rimanere dietro le quinte e non affrontare la scena della vita che spesso riserva nel confronto il conflitto. Il rifiuto del dialogo così cela l’impossibilità di raggiungere la verità comune.
L’ars maieutica di socratica memoria, sembra scomparire per lasciare il passo o all’indifferenza o alla neutralizzazione dell’altro.
L’enciclica dedica un intero capitolo, il sesto, a delineare la via del dialogo come assolutamente necessaria al fine della costruzione di una società umana autentica. Non si tratta di buonismo o di svendita della propria convinzione ma di un atteggiamento umano fondamentale per la crescita comune.
Qualcuno obietterà che oggi il rischio è cadere nel sincretismo valoriale, mettendo sul mercato delle opinioni quelli che sono le verità ed i valori non negoziabili. A costoro l’enciclica risponde mostrando che la verità non è un idolo da usare come una clava, da imporre ad ogni costo. Per noi la verità è Cristo che sempre sfugge ai nostri tentativi di possederlo. Nessuno di noi, come Pilato, vuole essere scettico negatore di una verità per tutti ma, altresì, nessuno può trincerarsi dietro le posizioni raggiunte pensando di possedere tutta la verità. È la verità a possederci e non noi i suoi detentori. «Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati. Ciò che chiamiamo “verità” non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo. È anzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono universali, perché da essa derivano» (208).
Solo nel dialogo aperto e sincero, tra singoli ed intere culture è possibile trovare insieme i pilastri del vivere comune, i valori. Se è vero l’insegnamento di Socrate che la verità è dentro ciascuno, solo aiutandoci reciprocamente a farla venire alla luce si costruisce un mondo nuovo.
All’aggressività mediatica, vero e proprio monologo; all’oppressione delle culture considerate inferiori, si contrappone la via del dialogo e della gentilezza. Fantasie, si dirà, di animi gentili. Non sono pochi ad avere nostalgie del superuomo o a chiedere di fare operazioni di forza. Anche dentro i nostri mondi non si ama essere contraddetti, non siamo più abituati al dialogo franco e sereno, non siamo capaci di elaborare i conflitti contribuendo ad accrescere le facce del poliedro. «San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il "dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano", invece di "parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano”» (223).
Non è superfluo rifondare la teologia e la spiritualità del dialogo, se desideriamo fare un passo in avanti nella civiltà umana, nella costruzione della chiesa. In questi ultimi anni si parla meno di “comunione” e questo forse è un bene, se ci liberiamo dal rischio dell’ecclesialese. Tuttavia, occorre ricentrare le relazioni interpersonali, dalle fondamenta. Andrebbe riletta l’enciclica Ecclesiam Suam. San Paolo VI che colloca il dialogo sul filo di Arianna del dialogo primigenio tra Dio e l’umanità. Lo stesso Logos è in principio presso (davanti a) Dio (cfr Gv1,1). Tutto sgorga dalla vita trinitaria che è, per essenza, relazioni sussistenti di amore infinito: ciascuna Persona è se stessa nell’unità sostanziale.
Quanto ci farebbe bene, tra cultura dello scontro ed indifferenza, subdole tecniche per neutralizzare l’apparente avversario, melliflua ed a volte ipocrita diplomazia, recuperare l’autentico orizzonte di un dialogo capace di riconoscimento del valore dell’altro, della ricchezza di cultura di cui è portatore, la certezza che il Signore parla con la lingua dei bambini e dei lattanti (Sal 8,3).

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