Avvenire di Calabria

Prosegue la lettura "sociale" della nuova enciclica del Pontefice ad opera di don Antonino Pangallo, direttore della Caritas di Reggio Calabria (OTTAVA PARTE)

"Fratelli tutti", percorsi di un nuovo incontro

Antonino Pangallo

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«Pace in terra agli uomini, amati dal Signore». La nuova traduzione liturgica del Gloria puntualizza che il dono della pace viene da Dio e non solo dall’impegno di volontà. Dio è la fonte della pace, da Lui si espande sull’universo intero. Non sono i nostri soli sforzi a donarci tranquillità e sicurezza ma solo il dono, accolto dall’alto, contagia legami di riconciliazione.
Passo dopo passo l’enciclica Fratelli tutti dipana i nodi della fraternità mostrandone luci ed ombre. Il capitolo settimo ha per titolo: “Percorsi di un nuovo incontro”.
Ad ogni uomo, particolarmente al cristiano, è chiesto di contribuire all’architettura della pace divenendo artigiani di essa. Le relazioni umane hanno bisogno costantemente di riconciliazione dinanzi al sorgere dei conflitti. Papa Francesco ci accompagna per mano, spesso citando documenti di episcopati di frontiera o di discorsi fatti in contesti conflittuali (Congo, Sudafrica, Corea del sud, Colombia, Mozambico, Croazia, Colombia).
Spesso i conflitti nascono da una oppressione dei diritti dei popoli poveri. Nulla giustifica la violenza, eppure il grido degli oppressi, a volte, può sfociare in reazione violenta. La violenza si scioglie come neve al sole se ad ogni persona, ai gruppi sociali, ai popoli vengono garantiti i diritti fondamentali. Solo coniugando verità, giustizia e misericordia sarà possibile tessere nuovi percorsi.
La pace non è il buonismo ma necessità per una vita sociale serena, orizzonte da raggiungere nel dialogo, nel confronto franco delle posizioni. La pace non dissimula i conflitti ma li fa emergere, cercando di ritrovare un’unità oltre il proprio orizzonte di interessi. Inoltre, la memoria va sempre custodita, pena la mortificazione delle vittime ed il rischio del ripetersi del dramma. Ricordare è importante e necessario. Si pensi all’olocausto, alle bombe atomiche sganciate sul Giappone. I drammi chiedono di essere rielaborati sia nel rispetto delle vittime, sia nel percorso di cambiamento dei colpevoli. La riconciliazione chiede il rispetto di tutti, in primo luogo delle vittime.
Essere artigiani di pace implica il superamento di tante scorciatoie. Le norme giuridiche dei trattati internazionali sono valide e vanno attuate sempre e non solo quando difendono i diritti del proprio stato nazionale.
Il perdono non può essere imposto con la forza. È chiesto un percorso franco di riconciliazione, capace di disinnescare la forza della violenza. A volte si cercano capri espiatori, si giustificano azioni deterrenti o preventive, si pilota l’opinione pubblica cavalcando l’aggressività ed il disagio.
Due argomenti vengono affrontati in particolare: la guerra e la pena di morte.
I conflitti possono degenerare nella guerra. Oggi il rischio è perdere il faticoso lavoro fatto dopo le due guerre mondiali, creando un clima che giustifichi il conflitto. Alla luce della interconnessione tra gli stati nazionali (tanto da dover parlare di terza guerra mondiale a pezzi) e, alla luce anche del potenziale distruttivi dei moderni armamenti, del coinvolgimento di tanti innocenti civili, non si può più giustificare moralmente da nessun punto di vista il ricorso alla forza delle armi. Da sempre i cristiani seguendo la rivelazione sono contro la guerra e nel momento presente lo sono più che mai.
L’enciclica sviluppa i temi trattati dalla Pacem in terris di San Giovanni XXIII, nel contesto del rischio di una guerra atomica (la crisi di Cuba aveva mostrato la fragilità della corsa agli armamenti della guerra fredda). Nel momento presente abbiamo tutti il dovere di rimettere al centro il tema della pace se vogliamo che il mondo possa avere un futura e il genere umano non si estingua.
Anche il tema della pena di morte viene affrontato con chiarezza. È giusto che dinanzi ad un crimine il colpevole paghi il prezzo dell’errore con una pena adeguata ed in percorsi di cambiamento. Ma la giusta pena non deve tramutarsi in vendetta. La pena di morte non ha più senso dal momento che diviene strumento in mano a regimi dittatoriali.

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