Avvenire di Calabria

Gli impianti diventino dei «beni»

Una rivoluzione per lo sport di base

Federico Minniti

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Non c’è dubbio: quando riapre un campo di calcio ne giova l’intera comunità, anche quella meno sportiva. La capacità di saper cogliere questo sintagma – educazione/sport – è già sintomo di maturità amministrativa.

Complimenti quindi all’Amministrazione comunale di Reggio Calabria che si accinge a un doppio traguardo: quello di restituire alle periferie di Archi e Pellaro due importanti presidi sociali.

La sfida di giovedì scorso tra gli scout di Archi e i consiglieri comunali ha rappresentato un bel gesto simbolico, ma non potrà essere l’unico. La partita da giocare, infatti, scevra di simbologia e vessilli, sarà molto più importante – al pari di quella da disputare col palazzetto di Pellaro di prossima riapertura – e prevede lungimiranza. Perché avere l’intuizione giusta e lasciarla come tale è peccato ancor più grave di chi non ce l’ha nemmeno.

Così è ormai impellente fare squadra rispetto al tema degli impianti sportivi che sarebbe il caso di definire in modo differente: si tratta infatti di beni sportivi comuni. Non è solo un vezzo linguistico.

Pensare alle strutture fisiche in cui si praticano le discipline sportive come «beni» muta totalmente il punto di vista: un «bene» va tutelato, stimolato, condiviso.

Non può essere – per la politica – un lungo elenco di opere tecniche da porre in essere. Lo sport deve liberare la politica da alcuni preconcetti: ciò che serve non sono economie, ma pre–condizioni.

Immaginare la pratica sportiva come il primo grande atto trasversale (ossia che arriva a tutti) di giustizia sociale. Un diritto, al pari della scuola e dei trasporti. Una città che non pratica Sport è una città condannata all’oblio. E allo spegnimento delle passioni, quelle viscerali.

Così immaginare un’Agenzia dei beni sportivi comuni proietterebbe la culla della Magna Grecia in un ideale parallelismo storico con quel tempo in cui il territorio fu insediato dai padri dello sport olimpico. La Reggio 2020 potrebbe essere proprio questa: l’Olimpiade della cittadinanza sportiva attiva. Per farlo è chiaro c’è bisogno di allargare il tavolo della discussione con quanti riescono ad essere interpreti della vocazione educativa dello Sport.

Falcomatà, che è stato sportivo al pari del padre, sa bene tutto questo substrato culturale. Adesso occorre decidere di scendere in campo con la Città, con quella che non ha la forza economica di reclamare spazio, ma certamente vivrebbe la “rivoluzione sportiva” come un piccolo grande gesto di reale evoluzione metropolitana dei territori.

Tornando a essere “buona prassi” per il resto del Paese e del Continente.

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