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All'insegna di un'amicizia secolare, si rinnova il forte legame tra il popolo calabrese e la comunità ebraica anche all'insegna del dialogo interculturale e interreligioso. Anche quest'anno la Calabria accoglie i rabbini in vista della "Festa delle Capanne" che si concluderà domenica prossima. Una festa dal tanto "sapore" calabrese.
Decine di rabbini si sono dati appuntamento nelle ultime settimane a Santa Maria del Cedro, in provincia di Cosenza, per la raccolta a scopo rituale dei cedri destinati alla "Festa delle Capanne", che, iniziata il 29 settembre in tutte le comunità ebraiche sparse nel mondo, si concluderà domenica prossima, 8 ottobre.
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Il "frutto sacro" è utilizzato nella rievocazione del periodo trascorso nel deserto dal popolo ebraico, dopo l'Esodo biblico dall'Egitto, prima di raggiungere la Terra di Israele, promessa da Dio ai discendenti di Abramo. Nel tempo, a Santa Maria la coltivazione del cedro si è radicata sempre più, con la nascita di numerose aziende agricole specializzate.
Il frutto, grazie all'attività di promozione svolta dall'omonimo consorzio, ha anche ottenuto a maggio scorso l'iscrizione nel registro delle Denominazioni d'origine protette, con il nome di "Cedro di Santa Maria del Cedro Dop". Le imprese cedricole destinano soltanto il 25-30% della produzione al settore alimentare, mentre la parte restante va alla ben più remunerativa vendita ai rabbini.
L'acquisto da parte degli ebrei avviene per singolo frutto, con prezzi che variano dai 15 ai 40 euro, secondo gli accordi tra le parti e, soprattutto, in base alla qualità del prodotto, stabilita con canoni estetici riguardanti la forma (dritta e simmetrica) e la purezza (buccia priva di graffi, muffe e funghi, che renderebbero il cedro non adatto all'alimentazione degli ebrei.
Durante la raccolta, tra agosto e settembre, i cedricoltori staccano dalle piante soltanto i frutti migliori indicati loro dai rabbini dopo un'attenta valutazione. Una seconda selezione viene fatta poi a tavola, con i rabbini che analizzano ogni singolo frutto servendosi anche di lenti di ingrandimento.
I cedri, così scelti, vengono dunque acquistati, conservati con attenzione in apposite cassette dotate di imbottiture in spugna, caricati su camion e trasportati in aeroporto per poi volare oltreoceano, destinazione New York. Da qui, vengono venduti alle comunità ebraiche sparse nel mondo. L'attività delle aziende cedricole è fiorente. L'unico problema che devono affrontare è la mancanza di manodopera, sia fissa che stagionale.
Quella dei rabbini che selezionano personalmente e con le proprie mani, uno alla volta, i cedri di Calabria è una tradizione sorta tre secoli fa. Ma gli alberelli di questo agrume vennero impiantati qui duemila anni orsono, in epoca ellenica e poi romana attraverso una mediazione culturale ebraica (esistevano allora consistenti comunità di ebrei in questa zona della regione).
PER APPROFONDIRE: Le radici ebraiche della Calabria
Le piantine sono raccolte in ordinati filari dentro serre che le proteggono senza alterare l’equilibrio climatico esterno che è determinato, proprio in quest’area, dall’incontro di due correnti opposte: quella calda che spira dal mare e quella fredda che arriva dalla montagna.
Nella fascia di terra della riviera calabra detta, appunto, “dei cedri”, lunga circa 80 chilometri, di frutti sacri se ne raccolgono circa cinquemila quintali ogni stagione. La varietà è chiamata “Cedro Diamante” ed è considerata anche la più profumata oltre che saporita (benché la buccia sia spessa e la polpa scarna).
La lunga permanenza degli ebrei in Calabria – dal IV al XVI sec. d.C. – ha lasciato elementi tangibili su città e territorio, delineando un modello urbano riconoscibile grazie alla ricorrenza di costanti insediative che, verificate nei contesti di riferimento, i quartieri ebraici – le giudecche – calabresi, portano alla definizione di un modello urbano ebraico.
La presenza di insediamenti ebraici in Italia meridionale fino all’espulsione dal Regno di Napoli decretata dall’editto del 1541 di Isabella d’Aragona e Ferdinando il Cattolico è una realtà ben documentata nonostante sia nettamente differenziata a seconda dei periodi storici.
È soprattutto nel periodo aragonese che la Calabria si connota come luogo di forte presenza ebraica, a testimonianza sia di una maggiore tolleranza rispetto ai secoli precedenti sia di un clima economico fiorente garantito proprio dalle attività gestite dagli ebrei. “Pochi sanno che in Calabria c’erano 102 paesi dove gli ebrei vivevano”(2); tante sono le giudecche nel XV secolo che inserite a pieno nella vita cittadina, assumono anch’esse quelle connotazioni ricorrenti che fissano nel tempo le permanenze ancora riconoscibili.
Gli ebrei calabresi non conosceranno mai la residenza coatta in quartieri appositamente concepiti ma anche nelle realtà in cui beneficiano di un’alta integrazione sociale scelgono comunque di vivere in zone isolate, che solo grazie all’espansione del centro storico e quindi per ragioni indipendenti dalla volontà della comunità ebraica, possono mutarsi in periferiche o, al contrario, in aree interne al centro abitato.
In seguito all’editto di espulsione, il popolo ebraico, dopo averla abitata sin dai romani, abbandona la Calabria e scompare nel giro di quattro mesi lasciando tracce nella storia, nella tradizione, tracce fisiche sul territorio che il tempo ha lentamente coperto e alterato, ma non cancellato del tutto. In alcuni casi la città attuale ha solo celato il volto delle giudecche, delle sinagoghe e degli altri edifici essenziali alla vita del quartiere.
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