Operazione della Guardia di Finanza: arrestato l'ex assessore al Lavoro
Il "comitato" rubava i soldi ai poveri per darli ai Mancuso
Saveria Maria Gigliotti
2 Febbraio 2017
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Robin Hodd, le cui gesta sono narrate da Alexander Dumas, era un eroe leggendario che rubava ai ricchi per dare ai poveri. In Calabria, invece, dove ieri è stata portata a segno un’operazione congiunta di Ros, carabinieri del comando provinciale di Catanzaro e guardia di finanza del comando provinciale di Vibo Valentia, avveniva il contrario. L’inchiesta, nome in codice “Robin Hood”, coordinata dalla Dda di Catanzaro, avrebbe accertato l’ingerenza della cosca ‘ndranghetista Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) nella gestione dei fondi della Comunità europea diretti al sostegno economico di nuclei familiari in difficoltà, con la creazione di un comitato d’affari che distraeva i finanziamenti comunitari vincolati al progetto regionale “credito sociale”, indirizzandoli su conti correnti di società private, anche all’estero, facendo così “sparire” circa due milioni di euro. “Un reato terribile – ha detto al riguardo Nicola Gratteri – come è terribile pensare che fondi comunitari arrivati qui per dare sostegno, respiro, sostentamento a chi ha bisogno, a chi è in difficoltà, sono stati utilizzati, in modo scientifico, con artifici e raggiri, per fini propri da spregiudicati, insensibili ai bisogni della gente. Hanno rubato”. A finire in carcere nove persone, accusate a vario titolo di abuso d’ufficio, falsità ideologica, turbata libertà degli incanti, corruzione, peculato, estorsione violenza e minaccia a pubblico ufficiale aggravata dal metodo mafioso, tra cui il consigliere regionale di opposizione, Nazzareno Salerno. L’esponente politico di Fi, all’epoca dei fatti assessore al lavoro e alle politiche sociali della Regione Calabria, avrebbe esercitato una pressione continua nei confronti di dirigenti preposti al proprio assessorato, “al fine di imporre le sue scelte che gli avrebbero garantito ampia discrezionalità nella gestione del progetto credito sociale e dei relativi fondi comunitari”. Gli inquirenti al riguardo non hanno dubbi: Salerno, con la complicità di Vincenzo Caserta, all’epoca direttore generale reggente del dipartimento di riferimento dell’assessorato, e di Pasqualino Ruberto, all’epoca presidente della fondazione Calabria etica, affidava la gestione “economica” e “finanziaria” del fondo, cioè l’attività di erogazione dei sussidi in questione, ad un soggetto esterno, la società finanziaria Cooperfin spa, di cui era amministratore delegato Ortenzio Marano. Gli accertamenti bancari svolti dalla guardia di finanza avrebbero consentito di tracciare il corrispettivo in denaro percepito da Salerno per l’esternalizzazione del servizio di erogazione dei mini-crediti, in base a un accordo “corruttivo” in virtù del quale l’affidamento alla società Cooperfin sarebbe avvenuto in cambio di una somma di circa 230mila euro. Inoltre, sarebbe stata anche documentata l’intimidazione organizzata da Salerno nei confronti di un funzionario della Regione che si era opposto alle sue pretese ostacolando l’iter amministrativo e andando contro il progetto. Salerno, quindi, si sarebbe rivolto a due pregiudicati indicati come riferibili alla cosca Mancuso, che minacciarono il funzionario in un vivaio (documentato dal Ros), facendolo desistere e consentendo lo svolgimento delle operazioni di gestione del progetto “secondo i voleri del Salerno e del comitato affaristico/criminale”.
La storia di Emanuele Mancuso, figlio del boss Pantaleone, che è diventanto uno dei più importanti collaboratori di giustizia. La figlia, però, le è stata tolta: la compagna dell’uomo, in contrasto con la sua decisione di pentersi, è rimasta ancora ai Mancuso e la figlia vive con lei. Le sue parole: «In quasi tre anni ho visto mia figlia poche volte», sempre in località terze e protette rispetto anche alla mamma.
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