Avvenire di Calabria

Consueto appuntamento con il report delle attività dell’Ufficio per i diritti dei detenuti del Comune

Il Garante: «Il carcere è considerato una ”discarica sociale”»

Redazione Web

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di Agostino Siviglia * - Ancona una volta, quest’anno, ci tocca ripetere: «Dal sociale al penale, il penitenziario continua ad essere sempre più luogo di discarica sociale».

Tre leggi in particolare, meritano di essere menzionate in tal senso: la legge Bossi–Fini, la legge Fini–Giovanardi e la legge ex Cirielli, che rispettivamente si occupano di immigrati clandestini, tossicodipendenti e recidivi. Queste tre leggi, nonostante gli interventi della Corte Costituzionale, ancora oggi, a distanza di lustri, continuano a dispiegare i loro nefasti effetti criminogeni e carcerogeni. Da qui si spiega, in gran parte, la pletora di quelle “vite di scarto”, per usare la tragica ma eloquente definizione di Bauman, che ancora oggi sovraffollano i penitenziari italiani e reggini (con proporzioni per la verità più contenute alle nostre latitudini), per lo più tossicodipendenti (35,3%) e stranieri (34% circa).

La condizione delle carceri reggine, in specie, si configura differente fra i due istituti di “San Pietro” e “Arghillà”: il primo, storico carcere cittadino, è ospitato da una popolazione carceraria che continua ad essere costituita in gran parte da detenuti in attesa di giudizio e per lo più incriminati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Ciò rileva sia ordine al trattamento rieducativo, evidentemente, neutralizzato nei confronti di chi ancora deve essere giudicato definitivamente, sia in ordine alla inesplorata funzione rieducativa della pena in contesto di criminalità organizzata, almeno nel contesto penale adulti. Quando, al contrario, questa tema, a queste latitudini, è di cruciale rilevanza; il secondo, di recente costruzione, proprio, nel problematico e complesso quartiere di Arghillà, continua a contenere un’umanità reclusa sempre uguale a se stessa: detenuti provenienti da altre regioni, con fine pena lunghissimi e finanche condannati all’ergastolo e, poi, la solita frammistione di popolazione detenuta: extracomunitari, rom, sinti, tossicodipendenti, sex–offender; autori di reati comuni e detenuti di alta sicurezza; qualche colletto bianco.

E ancora a “San Pietro” c’è una sezione di “Osservazione Psichiatrica” ed una apposita sezione femminile, con ad oggi 34 donne detenute e, fino a qualche tempo addietro, anche qualche bambino. Tema questo, dei bambini innocenti detenuti fino a tre anni di età con le madri che non hanno a chi affidarli, che a mio avviso costituisce una vera e propria aberrazione. E per il quale mi batto da anni. Eppure i segni di speranza non mancano: penso ai detenuti del carcere di “Arghillà” che da tre anni svolgono lavori volontari e gratuiti in favore della collettività; o all’iniziativa di Area Democratica, in collaborazione con il Cvx e questo Garante, relativa alla sartoria in carcere per le donne detenute; o alla passione, alla “credenza”, di educatori, assistenti sociali, volontari, agenti di polizia penitenziaria, medici, dirigenti, sacerdoti, suore. Insomma, in carcere sconforto e speranza convivono, fra quanti attendono una libertà prossima, lontana, sperata e, magari, una vita diversa e quanti con la loro “credenza” riempiono di senso la funzione rieducativa della pena.

* Garante comunale dei diritti dei detenuti

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