Avvenire di Calabria

Il nostro Dio abita le fragilità e le guarisce

Non vergognarsi mai dei propri fallimenti: la riflessione di don Tonino Sgrò

Antonino Sgrò

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Il gesto e la Parola che accompagnano il rito delle Ceneri evocano sia l’azione penitenziale di cospargersi il capo di cenere, spesso attestata dalla Bibbia in occasione di lutti o di pentimento per il peccato, sia la dichiarazione divina della precarietà di Adamo dopo la caduta, che sancisce la corruttibilità morale e fisica della vita umana. In Giosuè 7,6, dopo la sconfitta di Ai, Giosuè e gli anziani si stracciano le vesti, si prostrano a terra e si ricoprono la testa di polvere. Gli amici di Giobbe, considerandolo come già morto, compiono il medesimo gesto in 2,12.

Già questi esempi iniziali attestano che nell’Antico Testamento l’immagine della polvere ricorre prevalentemente in ambiti di distruzione, umiliazione e morte. Volendoci limitare ad Isaia, il profeta descrive la distruzione in 41,2: la spada di Ciro riduce in polvere popoli e re per il fatto che questi gli vengono consegnati da Yhwh stesso, che nei passi successivi qualificherà esplicitamente il sovrano persiano come suo strumento. Nel contesto della cosiddetta Apocalisse di Isaia (capitoli 24– 27), in 25,12 la polvere si riferisce all’abbattimento al suolo della fortezza di Moab; allo stesso modo in 26,5 si dice che il Signore ha gettato nella polvere la città eccelsa. Se in questi testi sembra prevalere la connotazione della distruzione in senso materiale (pur potendo rinvenire in essi un abbattimento della superbia e della ricchezza), tale tratto appare secondario in 47,1, in quanto Babilonia non viene rovesciata sulla polvere, ma le viene ingiunto di sedersi su di essa. Questo farebbe pensare a un abbassa- mento indicante uno stato di umiliazione più che distruzione delle mura o dei palazzi.

Allo stesso modo, in 2,6-22 il profeta annuncia l’avvento del giorno del Signore, un intervento divino mirante a piegare «l’orgoglio degli uomini…l’alterigia umana» (v. 17). Infatti l’insinuarsi dell’elemento straniero nel popolo aveva avuto come conseguenza la reazione di Yhwh, che lasciò Israele in balia dei nemici confinando in uno stato di profonda umiliazione coloro che si erano prostrati agli dèi stranieri. Al v. 10, «di fronte al terrore che desta il Signore», l’uomo è invitato a nascondersi nella polvere in segno di abbassamento, riconoscendo «lo splendore della sua maestà». Isaia 49,14-26 esordisce con il lamento di Sion che si sente abbandonata da Dio. La replica del Signore, incentrata principalmente sull’annuncio dei figli riacquistati, al v. 23 fa ricorso all’immagine dei nemici che lambiscono la polvere dei piedi, quale segno di sottomissione a Sion. La discesa di Babilonia nel sopracitato capitolo 47 potrebbe anche evocare la realtà della morte. In effetti, “polvere” spesso rimanda inequivocabilmente alla dipartita. Ciò è particolarmente evidente nel libro di Giobbe, mentre Salmo 22,30 definisce i mortali «quelli che scendono nella polvere».

Il sostantivo polvere all’interno del Deuteroisaia ricorre anche in 52,2. Il v. 1 descrive la liberazione di Gerusalemme: la città, poiché l’esilio presto volgerà al termine, può adornarsi di splendide vesti. Sion rifletterà un nuovo stato di santità perché sarà definitivamente liberata dagli incirconcisi e dagli impuri. Ella deve scuotersi di dosso la polvere che caratterizza la sua condizione di prigioniera e alzarsi, poiché la sua cattività sta per finire. Gerusalemme viene infine invitata a sciogliere dal collo i legami, suggerendo quest’ultima immagine un richiamo al giogo con cui Babilonia ha gravato gli anziani di Israele in 47,6. La comparazione tra i due testi mostra come le sequenze togliere/mettere i vestiti e riempirsi/scrollarsi di polvere costituiscono atti compiuti in prima persona dalle due protagoniste, il cui destino, dunque, appare essere determinato dai loro stessi comportamenti. Infatti osserviamo come nelle situazioni in cui l’uomo sperimenta la propria fragilità e fallibilità, ossia i suddetti ambiti di distruzione, umiliazione e morte, la polvere esprime da una parte l’agire di Dio, che intima all’uomo di ravvedersi finché è in tempo o di trarre esempio dalla sventura altrui; dall’altra parte essa indica l’impegno umano di conversione, perché solo aderendo al comando divino la persona può risorgere dalle proprie ceneri. Ciò richiama il momento dell’Origine, in cui la polvere è la materia usata da Dio per creare l’uomo, ed è quindi significativo che chi compie il sacro rito delle Ceneri chieda al Creatore di essere riplasmato per poter vivere più pienamente la relazione di alleanza con Lui.

* direttore Istituto Teologico Reggio Calabria

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