Avvenire di Calabria

Il commosso ricordo dell’esperienza vissuta 40 anni fa dalla Caritas diocesana subito dopo il sisma che scosse Campania e Basilicata

Irpinia, la Chiesa reggina in soccorso: «L’aiuto nel dolore»

Tatiana Muraca

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È trascorso da poco un triste anniversario per la storia d’Italia. Quarant’anni dal terremoto dell’Irpinia, che il 23 novembre 1980 colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale, provocando migliaia di sfollati, feriti e morti. Un tragico ricordo, di cui però fanno anche parte storie di speranza e carità, alcune scritte dalla chiesa reggina in quei giorni. Testimoni diretti di quanto accaduto, Giorgio Bellieni, Mimmo Nasone ed Enzo Petrolino. Nelle loro parole, il ricordo degli attimi in cui le trasmissioni televisive furono bruscamente interrotte per lanciare la notizia del sisma; gli istanti che seguirono, in cui insieme alle “guide” del tempo, come don Italo Calabrò, i volontari della Caritas diocesana decisero di organizzarsi e da Reggio partire alla volta delle zone terremotate.

«Un’avventura umana e cristiana», come la definisce Giorgio Bellieni, che a quei tempi si trovava inserito nel servizio nazionale della Caritas Italiana per la gestione e promozione dell’Obiezione di coscienza- Servizio Civile.Erano anni in cui non esistevano i social e le nuove tecnologie. Ci si doveva organizzare con i pochi mezzi che si avevano a disposizione. Erano anni, di contro, in cui il volontariato diocesano era più attivo che mai. «Uomini e donne, preti e laici del nord e del sud, frati e suore di ogni carisma, movimenti ecclesiali integristi e con “il sorriso” stampato, scout navigati, stranieri di Caritas nazionali, mass media e organizzazioni originali», aggiunge Bellieni. La spiccata umanità proveniente da ogni persona presente in quei luoghi, anche appartenente ai gruppi del Servizio Civile o delle forze armate, si rifà in qualche maniera alla situazioneche tutto il mondo sta vivendo oggi. La pandemia del Coronavirus ci sta richiamando al senso di responsabilità e di comunità; smuove le coscienze di ogni generazione, così come quarant’anni fa. Mimmo Nasone ed Enzo Petrolino vissero insieme quell’esperienza. «Quella sera don Italo Calabrò aveva convocato una riunione con i responsabili della Piccola opera Papa Giovanni e del Centro comunitario Agape per fare una verifica sulle varie esperienze di accoglienza», ricorda Nasone, che la mattina dopo si trovò nel salone dell’Auditorium, convocato proprio da don Italo, in sintonia col vescovo Sorrentino, insieme ai membri della direzione Caritas, i direttori dei vari uffici diocesani e i rappresentanti dei movimenti e delle associazioni diocesane. «All’ordine del giorno un unico punto: organizzare i volontari che avrebbero dovuto al più presto recarsi in Irpinia. Il Ciapi, l’Istituto professionale di Catona, aveva messo a disposizione il proprio pullman». C’era anche «il pulmino Fiat 208 della Caritas». Una “spedizione” umanitaria che incontrò alcune difficoltà logistiche iniziali, ma che alla fine approdò in piccolo paese montano della provincia di Potenza, Rapone. Non vi erano stati morti, a Rapone, ma tante persone anziane rimaste sfollate. La loro assistenza, «la mensa curata da suor Bruna», la visita alle famiglie, gli incontri quotidiani, la messa assicurata ogni pomeriggio, quel campanile fermo alle 19.30. Sensazioni, rumori, odori che anche Enzo Petrolino porterà per sempre nel proprio bagaglio di vita: «Si sentiva forte la presenza di Gesù su quel cocuzzolo di montagna a 900 metri di altezza dove eravamo approdati. In quel momento mi si offriva un’opportunità per verificare meglio e di più la mia vocazione al diaconato».

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