Avvenire di Calabria

Dopo il furto dei macchinari, la cooperativa rinnova l’impegno. Educatori e dirigenti della comunità reggina «Casa del Sole» restano aggrappati al loro sogno

La Comunità derubata: «Feriti dal gesto, ma non molliamo»

Federico Minniti

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Tre ettari alle pendici dell’Aspromonte per dare un futuro a chi esce dalla tossicodipendenza. Il progetto della Casa di Myriam, spin–off della storica comunita terapeutica che risponde al nome della Casa del Sole, è stato bruscamente interrotto pochi giorni fa. Nottetempo degli sconosciuti si sono introdotti nel terreno, forzando il cancello di ingresso, e rubando i mezzi agricoli acquistati con grande fatica. Uno smacco alla Reggio solidale, ma che non affievolisce il sogno della cooperativa, come ci spiega Giovanni Pitrolo, uno dei responsabili: «Non nascondo che un po’ di tristezza mi ha attraversato: hanno rubato un bisogno alle persone deboli. Noi, però, non ci fermeremo: ad incoraggiarci è stato il grande abbraccio della Città, dalla politica sino al mondo del Terzo Settore». Da questa intensissima esperienza di servizio nasce l’idea di una cooperativa di servizi che sostenga i ragazzi della Comunità nella fase di re–inserimento socio–lavorativo (tra le più delicate di tutto il percorso terapeutico). La Casa di Myriam, fondata nel 2001, si occupa di diverse attitività come ristrutturazione di edifici pubblici e privati, la distribuzione di materiale pubblicitario per tutta la Calabria, servizi di pulizia e sanificazione, giardinaggio.

Il terreno, in località Armo, è stato acquistato di recente. Al suo interno c’era un rudere, pieno zeppo di amianto (smaltito dalla coop con un ingente carico economico, quasi 10mila euro), che ospiterà una micro– comunità di 8 persone. I lavori di ristrutturazione vanno spediti e, adesso, quella casa abbandonata sta assumendo le sembianze di una dimora accogliente. Ma perché derubare una cooperativa che vuole evitare che dei soggetti fragili possano “ricadere” nella trappola della droga? A questo domanda ha risposto Valentino Scordino, docente di un liceo cittadino, distaccata in Comunità: «Non riesco a immaginare chi possa essere stato. Attenzione, sappiamo bene che la criminalità è senza scrupoli: però, fatti come questo, devono sostenere l’impegno della cittadinanza attiva contro questo fenomeno che, accadesse il contrario, rischia di erodere la coscienza collettiva».

Facciamo un passo indietro. Casa del Sole nasce il primo giugno 1985 da un gruppo di professionisti napoletani legati al Cif e all’istituto “San Vincenzo de’ Paoli”. Convertito un ex orfanotrofio in comunità terapeutica, iniziò l’impegno a favore dei tossicodipendenti. Ad oggi, possono essere accolti 35 utenti, in una struttura che si trova in località Gallina, con un affaccio mozzafiato sullo Stretto. A spiegare l’impegno di quegli anni è Teresa Baiano, storica educatrice. Campana d’origine, ma reggina nel cuore: «La nostra Comunità è fortemente orientata al re–inserimento socio– lavorativo: l’obiettivo è educare i ragazzi all’indipendenza». «Mai in 35 anni che siamo in questa casa abbiamo subito azioni discriminanti, – spiega Teresa riferendosi al furto subito – abbiamo un carattere che ci aiuta a pensare positivo: dobbiamo riprendere il cammino esattamente da dove è stato interrotto».

Accanto all’azione premurosa degli educatori, non mancano le attività di ascolto da parte degli psicologi, come Rosa Calabrò che prova a descrivere l’ambiente della Comunità dopo il fatto accaduto: «L’evento ci ha colti davvero di sorpresa, però non ci ha lasciati senza forze. Siamo una struttura sociale chiamata a riabilitare le persone più svantaggiate, anche sotto il profilo sociale. Tutti siamo vulnerabili, però tutti siamo capaci di ripartire e migliorarci». Concludiamo la nostra visita alla Casa del Sole in cappella. Un Cristo in legno è posto all’inizio della piccola navata: le sue braccia spalancate sono l’immagine carica di speranza che abbiamo intravisto guardando negli occhi ragazzi, educatori e responsabili. Nessuno potrà mai rubargliela: si ricomincia da quì.

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