Avvenire di Calabria

Le sfide dell’esclusione e dell’accoglienza

Il vescovo di Locri-Gerace, partendo dal ricordo di don Italo Calabrò, affronta due stili e modalità di essere dell’uomo e della stessa società, due grandi sfide del nostro tempo

Francesco Oliva *

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Ringrazio per quest’invito a partecipare ad una serie di incontri che si terranno per fare memoria di una bella figura di sacerdote che ha fatto onore al clero di questa nobile arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova.

Ho avuto possibilità di conoscere don Italo Calabrò negli anni settanta al tempo dei moti di Reggio, conoscendolo come sacerdote molto impegnato a livello diocesano, ma soprattutto come parroco inserito in un contesto sociale difficile, nel quale operava privilegiando gli ultimi e portando avanti iniziative di carità nelle quali da bravo maestro e testimone di fede sapeva tanto coinvolgere i più giovani. L’ho conosciuto come sacerdote umile operaio nella vigna del Signore, dal cuore grande, che badava all’essenziale ed operava pastoralmente nella prospettiva degli ultimi. Sapeva esercitare nello spirito della carità pastorale.

A me è stato chiesto di trattare un tema molto delicato ed attuale, che riguarda due sfide decisive che si contrappongono fra loro: l’esclusione e l’accoglienza due stili e modalità di essere dell’uomo e della stessa società. Esclusione e accoglienza sono due grandi “sfide” per il nostro tempo, per la nostra storia, per la storia delle nostre comunità.

Sfide da affrontare con lungimiranza, cogliendone le istanze sottostanti. Ad esse si sottende una diversa visione dell’uomo e della società. Ci interpellano sul modello di uomo e di società, che vogliamo. Vogliamo una società che esclude o una società inclusiva e dell’accoglienza? Da quale parte intendiamo schierarci?

Quando parliamo di esclusione e di accoglienza facciamo riferimento a qualcosa/qualcuno che viene escluso o che viene accolto. Porti chiusi e porti aperti, i muri che vengono innalzati, fili spinati che delimitano i confini degli Stati sono segni preoccupanti di esclusione. Non possiamo arrenderci di fronte alla deriva di una concezione che tende a far passare come normale, se non come diritto ogni atteggiamento volto ad escludere. Si esclude chi non interessa, chi fa paura, l’estraneo, chi non piace. Spesso l’esclusione è frutto di condizionamenti emotivi. Penso all’emigrazione oggi diventata una sfida emotiva, condizionata da paura e diffidenza. Un certo dibattito politico la presenta come minaccia che alimenta il terrorismo, un pericolo per l’ordine pubblico, per la salute, per il benessere, che compromette lo sviluppo e la crescita interna del paese (“prima gli Italiani”).

Ciò corrisponde ad una politica dal “respiro corto”, che crea allarmismo, che sostiene la concezione dello straniero come nemico ed incita al suo rifiuto, favorisce pericolose derive di stampo razzistico e xenofobo, e nuove forme di populismo e nazionalismi. In un recente saggio “Vergogna ed esclusione. L’Europa di fronte alla sfida dell’emigrazione”, il prof. Umberto Curi sostiene che nessuno può sentirsi “inerme testimone” di quel che accade perché quel che oggi accade chiama in causa l’identità democratica della nostra Europa e i suoi valori. Il Prof. Curi parla di «miseria culturale», di incapacità delle istituzioni pubbliche e dei governi nazionali al dare risposte alle sfide dell’emigrazione. Oggi sta emergendo tutta la nostra inadeguatezza «dal punto di vista psicologico e intellettuale, prima ancora che sul piano politico e normativo» di fronte al fenomeno migratorio. Una inadeguatezza che si esprime nelle scelte della politica e nella sua legislazione. Vengono attribuite identità distinte ai migranti: l’identità di chi possiamo accettare (i regolari) o non accettare (gli irregolari). Spesso ci troviamo di fronte a “scelte di esclusione”, «scelte di criminalizzazione della condizione umana» (Luciano Manicardi). Ad esempio si è inventato il “reato” di “immigrazione clandestina”: si è puniti per quello che si è e non per quello che si fa. La sanzione penale non colpisce le condotte, ma il soggetto in quanto tale. Criminalizzare l’immigrazione è frutto di una politica di basso profilo, che non riesce a coglierne l’importanza. Eppure in tanti paesi come l’Italia, l’immigrazione attenua gli squilibri derivanti dall’invecchiamento della popolazione, alimenta il progresso economico attraverso l’aumento della forza lavoro e garantisce la sostenibilità del nostro sistema di welfare.

LA LOGICA DELL’ESCLUSIONE E’ ANTIEVANGELICA A DIFFERENZA DELLA LOGICA DELL’ACCOGLIENZA.

Papa Francesco sottolinea spesso che la cultura dell’esclusione genera scarto, mettendo in guardia da questa “pericolosa e inaccettabile cultura”, che, come conseguenza della crisi antropologica, pone al centro non la persona umana, ma l’interesse economico, il potere e il consumo sfrenato.

Non escludere nessuno è il sottotitolo scelto dal dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale, in preparazione alla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 29 settembre prossimo sul tema “Non si tratta solo di migranti”. Ritengo utile richiamare brevemente alcuni passaggi di questo messaggio.

Nelle società economicamente più avanzate si nota la tendenza ad un accentuato individualismo. Unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la “globalizzazione dell’indifferenza”. I migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione: oltre ai disagi che la loro condizione comporta, sono caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali. L’atteggiamento nei loro confronti rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto. Su questa via, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione….

Il Messaggio per la Giornata dei migranti e profughi 2019 invita a superare le nostre paure. Le cattiverie e le brutture del nostro tempo accrescono «il nostro timore verso gli “altri”, gli sconosciuti, i forestieri. Questo si nota particolarmente oggi, di fronte all’arrivo di migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di protezione, di sicurezza e di un futuro migliore…. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me…

Riscopriamo il valore della carità. Attraverso le opere di carità dimostriamo la nostra fede (cfr Gc 2,18). E la carità più alta è quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e forse nemmeno di ringraziare.

Non scadiamo in umanità. Quando di tratta di migranti, si tratta della nostra umanità. Ciò che spinge il Samaritano a fermarsi è la compassione, un sentimento che non si spiega solo a livello razionale. Avere compassione è dare spazio alla tenerezza, che invece la società odierna tante volte ci chiede di reprimere. «Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta ad essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità» (Discorso nella Moschea “Heydar Aliyev”di Baku, Azerbaijan, 2 ottobre 2016).

Nessuno escluda nessuno. Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto (cfr Lc 16,19-21). Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale, e si preoccupa anche delle generazioni future.

Prima gli ultimi: si tratta di mettere gli ultimi al primo posto. Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il proprio tornaconto personale o quello del proprio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi!”. Nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima.

Il primato della persona. Non si tratta solo di migranti: si tratta di tutta la persona, di tutte le persone. In ogni attività politica, in ogni programma, in ogni azione pastorale va sempre messa al centro la persona, nelle sue molteplici dimensioni, compresa quella spirituale. E questo vale per tutte le persone, alle quali va riconosciuta la fondamentale uguaglianza.

Molti migranti si mettono in cammino in vista di un mondo migliore, che in tanti casi si rivela un’illusione. In questa nostra epoca, chiamata anche l’era delle migrazioni, sono molte le persone innocenti che cadono vittime del “grande inganno” dello sviluppo tecnologico e consumistico senza limiti (Laudato si’, 34). E così si mettono in viaggio verso un “paradiso” che inesorabilmente tradisce le loro aspettative. La loro presenza, a volte scomoda, contribuisce a sfatare i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti.

LA SFIDA DELL’ACCOGLIENZA INTERPELLA LA NOSTRA COSCIENZA E LA SOCIETA’.

I migranti, un segno dei tempi. I migranti, e specialmente quelli più vulnerabili, ci aiutano a leggere i “segni dei tempi”. Attraverso di loro il Signore ci chiama a una conversione, a liberarci dagli esclusivismi, dall’indifferenza e dalla cultura dello scarto. Chi bussa alla porta del nostro Paese, delle nostre comunità cristiane, ci aiuta a fare discernimento su cosa ci chiede lo Spirito oggi. Diceva lo stesso papa Francesco nel suo viaggio in Romania: «Sempre, nella storia dell’umanità, ci sono Abele e Caino. C’è la mano tesa e la mano che percuote. C’è l’apertura dell’incontro e la chiusura dello scontro. C’è l’accoglienza e c’è lo scarto. C’è chi vede nell’altro un fratello e chi un ostacolo sul proprio cammino. C’è la civiltà dell’amore e c’è quella dell’odio. Ogni giorno c’è da scegliere tra Abele e Caino. Come davanti a un bivio, si pone tante volte di fronte a noi una scelta decisiva».

La vera sfida è che l’inclusione diventi mentalità e cultura, come sostiene papa Francesco. Le migrazioni non sono la fine del mondo, ma l’inizio di un mondo nuovo. Ecco il cammino pastorale che ci attende come risposta alla sfida posta dalle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Questi verbi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se lavoriamo in questa direzione, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo. Da questo deriva l’impegno per una pastorale che parta dalle periferie: una pastorale missionaria, aperta agli ultimi ed accogliente, che promuove ed integra le fragilità. Una pastorale della carità, della misericordia e della benevolenza.

*Vescovo della diocesi di Locri-Gerace

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