Viaggio nel meraviglioso mondo dell'arte e della spiritualità
L’icona sacra è una porta aperta sul cielo
In dialogo con Letizia di Lorenzo
Gaetana Covelli
26 Marzo 2017
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La luce naturale di un tiepido pomeriggio di marzo si riflette sull’ultimo capolavoro iconografico di Letizia Di Lorenzo. Nel suo laboratorio gli strumenti di lavoro, i colori e i pennelli introducono il visitatore, ospite o amico, in un mondo dove tutto parla, dove la complessità cromatica diviene arte nelle icone. Ci si sente avvolti dal mistero dinnanzi a quella parete che accoglie la rappresentazione della crocifissione di Gesù dipinta su tela. Un passaggio dalla semplice osservazione alla contemplazione. «L’icona è una porta aperta sul cielo» - afferma Letizia, immobile sull’uscio della porta d’ingresso. Non è una semplice opera d’arte: dentro scorre la vita, la storia della Chiesa, la verità del Vangelo; ecco perché, chi decide d’intraprendere un percorso iconografico, deve essere pronto a lasciarsi condurre da una spiritualità che si fa “carne” in ciò che si decide di stilizzare. Letizia ha ultimato gli studi all’Accademia delle belle arti specializzandosi in scultura, nel 2003; poi, ha iniziato – seguendo la passione materna – a dipingere icone. Tutto è iniziato nella cappella di San Biagio a Gallico. Il parroco di allora, don Francesco Cuzzocrea, commissiona alcune opere e Letizia decide di tuffarsi in questa avventura. «Non potrò mai dimenticare – racconta – gli inizi del cammino. Un tempo di grazia che ha segnato i passi successivi». Seguita dal maestro Ivan Polverari, la Di Lorenzo muove i primi passi nel mondo dell’arte sacra; e ancora oggi, pur essendo moglie e madre di tre bimbi, cerca di conciliare gli impegni famigliari con il lavoro. A differenza dell’arte classica, che ha una vita all’interno di se stessa, l’icona è piatta: vive, cioè, dal di fuori, ovvero nello spazio di chi la dipinge e di chi poi la contempla. Non è soltanto la tecnica ad avere valore, ma anche il cammino spirituale dell’iconografo, così da mettere in relazione il “soggetto guardante” con l’opera creata. L’icona, dunque, attraversa spazi immensi, entra in contatto con il mondo interiore; e ha la finalità di aiutare l’orante nell’ascesi verso Dio, fino a far sposare silenzio e contemplazione. Non troveremo mai un’icona firmata da un artista: é un altro particolare, questo, non indifferente. L’icona, infatti, è come una creatura che viene data alla luce e poi consegnata alla Chiesa. Non è mai un’opera fine a se stessa, non crea “legami” autobiografici; è un dono da offrire, perché l’amore e la gratuità vengano svelati.
L’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone, rivolge un messaggio a tutte le persone «per salutarvi cordialmente come vostro fratello, amico e padre in Cristo Gesù e per augurarvi una vita cristianamente autentica». In occasione del Santo Natale, poi, consegna una proposta alle comunità parrocchiali.
La comunicazione inviata ai sacerdoti da parte del presule: «La situazione di pandemia che ancora perdura sta continuando a causare ferite profonde e malessere. Alla comunità ecclesiale” deve stare a cuore il benessere di tutti».
«Ogni ministero che il Signore affida ci supera e mostra una sproporzione con le capacità umane; ma, nell’accoglierlo, sperimentiamo che la fedeltà di Dio precede e accompagna. E parlare di fedeltà è applicare una categoria dell’amore». A 15 anni dalla sua consacrazione episcopale, Monsignor Marcianò ripercorre gli anni di ministero episcopale
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