Avvenire di Calabria

Si riaccendono i riflettori su una vicenda assurda del Sud Italia

Liquichimica, Greenpeace chiede chiarezza al Governo

Federico Minniti

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Attivisti di Greenpeace a Saline Joniche (Reggio Calabria) arrampicati su un pilastro in cemento armato, alto cento metri: è l'ex Liquichimica, costruita nel 1974 e mai attivata, che squarcia in due un panorama mediterraneo mozzafiato. Filmano con i loro smartphone lo scempio di un'area ricca di colture ingabbiata dalle promesse di sviluppo mai realizzate. La ciminiera sulla statale 106 ha – da ieri - un messaggio chiaro, dipinto dalla fatica di una notte, appesi nel vuoto con le latte di vernice sulla schiena: «Stop Carbone». Ma cosa c'entra il carbone con un ex Liquichimica? Bisogna fare un passo indietro. Fu l'allora Pacchetto Colombo a far sdradicare una tradizione secolare, quella della coltivazione intensiva del gelsomino, soppiantata da uno stabilimento industriale che per anni è stato solo un complesso di ruggine. Non per tutti. Il consorzio Sei-Repower, dal 2008, insegue il sogno di tramutarlo in una centrale a carbone. L'iniziativa di Greenpeace riaccende i riflettori su una complessa vicenda del Sud. Un deserto di metallo accatastato ad un centinaio di metri dal mar Jonio, ma per certi versi più vicino alla Svizzera che a Roma. Nel 2013 nel Cantone dei Grigioni ci fu un referendum. Gli svizzeri furono chiamati a pronunciarsi sulla realizzazione dell'impianto in Calabria. Vinse il «no». Ma – ancora una volta - cosa c'entra il Cantone dei Grigioni? Sono i soci, per il 58%, della Repower, azienda svizzera a partecipazione pubblica, che controlla la Sei Spa, il consorzio del progetto della centrale a carbone. Soldi svizzeri nella cassaforte delle 'ndrine. Intorno all'ex Liquichimica insiste anche un ex fabbrica grandi riparazione delle Ferrovie dello Stato ed un porto divenuto l'arsenale delle mafie. Lo dicono le indagini - come la recente "Ada" che ha già condannato in primo grado l'ex vicepresidente della Provincia di Reggio Calabria, Gesulado Costantino – che lì è tutto «roba» della cosca Iamonte. Nel marzo 2015, il Tar del Lazio ha stabilito che l'iter autorizzativo rispetto alla realizzazione dell'impianto era viziato da evidenti irregolarità. Da quì la messa in liquidazione della Sei Spa. Sogno svanito? Nient'affatto. A rinvigorire la possibilità di investimenti nel carbone a Saline Joniche ci ha pensato una sentenza del Consiglio di Stato che, nel maggio 2016, ha ribaltato la precedente pronuncia del Tar laziale. «La gente ha paura – ci spiega il parroco, don Paolo – perché questo territorio è da sempre "baratto" politico». Un timore condiviso dagli attivisti di Greenpeace che si sono introdotti nell'ex Liquichimica per chiedere al Governo un atto risolutivo.

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