Avvenire di Calabria

Pericolo per i minori. Il sociologo reggino torna, poi, sui dati rispetto alle violenze domestiche

Marziale: «Occhio al digitale. La deriva è l’auto-isolamento»

Federico Minniti

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Ma davvero la vita non sarà più come prima? In questi mesi si sono moltiplicati i salotti televisivi in cui personaggi, più o meno esperti, si sono affannati a descriverci cosa verrà dopo la fine della pandemia. Spesso ne vengono fuori dei dipinti apocalittici e, in altri casi, tanti sostengono che alla fine la società attuale «la farà liscia» anche stavolta conservando lo status-quo. Ma qual è questo statusquo da salvare ad ogni costo? Noi ne abbiamo parlato con Antonio Marziale, sociologo e già Garante regionale per i diritti dei minori, tra le voce più libere e qualificate della nostra tivù.

Covid-19 e stili di vita. Uno sguardo da sociologo. Secondo lei, cosa non sarà più come prima?

La visione sociologica ha due prospettive, una a breve ed una a lungo periodo. A breve nulla sarà come prima, perché nell’immediato saremo vittime di nuove abitudini, acquisite per necessità, dove anche abbracciarsi o stringersi la mano diventerà meno spontaneo, se non del tutto evitato. Nel lungo periodo l’umanità dimentica i traumi e tende a normalizzarsi. È un po come la consapevolezza di morire, se non la attenuassimo, con un agire quotidiano che va alla ricerca di abitudini piacevoli o distrazioni, finiremmo col morire dal pensiero.

La rivoluzione digitale di questi mesi ci porterà ad essere sempre più soli?

Il digitale è apparentemente socievole, ma praticamente isolante. Ci si ritrova momentaneamente con l’illusione di essere tanti, ma si finisce con lo spengere un pulsante e ritrovarsi sostanzialmente soli. Partendo da questo assunto c’è poco da aggiungere.

In questi mesi è esploso Tik Tok e l’uso (forse dovremmo dire l’abuso) dei Social network tra i bambini. Come si arginano fenomeni che possono essere pericolosi o, come accaduto, addirittura letali?

La risposta è scontata, ma non praticata. La scuola deve “insegnare” l’educazione al corretto utilizzo, i genitori devono essere esemplari, perché a loro non è richiesta per forza la competenza specifica che ha la scuola, e lo Stato deve reprimere le derive. Al momento non va bene nessuna delle tre soluzioni.

Dai dati forniti ufficialmente, l’uso di stupefacenti non è diminuito pur essendo obbligati a restare in casa. Come legge questo dato? Avrà ragione il fronte della “legalizzazione”?

La legalizzazione con vendita delle droghe da parte dello Stato farebbe aumentare il numero di consumatori e delle persone che svilupperebbero dipendenza. Non è che legalizzandole diventino meno tossiche per l’organismo umano e non compromettano la salute fisica, psichica e sociale della persona. Chi le assume, indipendentemente dalla legalizzazione o meno, ha un rischio maggiore di acquisire e trasmettere malattie infettive, ha una maggiore probabilità di sviluppare o slatentizzare patologie psichiatriche, ha una maggiore probabilità di commettere crimini ed essere coinvolto in incidenti, in quanto le droghe alterano le funzioni neuropsichiche dell’individuo compromettendo azioni importanti per la sicurezza propria ed altrui, la vita di relazione e l’attività lavorativa. Se poi immaginiamo il consumo facilitato da parte degli adolescenti, non possiamo tralasciare il fatto che le droghe sono in grado di influenzare negativamente il loro normale processo di maturazione cerebrale.

La casa è ancora il focolare domestico? Tanti esperti dicono che per via della “convivenza forzata” le coppia non fanno altri che “scoppiare”…

In Italia si stima che oltre mezzo milione di minori siano stati testimoni diretti o indiretti dei maltrattamenti subiti in casa dalle loro madri. E qui parliamo di cifre per difetto, in quanto è possibile avere in riscontro statistico solo dai casi denunciati, ma temo il fenomeno della “violenza assistita” sia da moltiplicarsi per più cifre. Dunque, no, la casa non è più il focolare domestico per eccellenza.

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