Avvenire di Calabria

Pubblichiamo integralmente le parole dell'arcivescovo ordinario per l'Italia in occasione della celebrazione di ieri

Mondello, 40 anni di episcopato. L’omelia di monsignor Marcianò

Redazione Web

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di Santo Marcianò * - «Ricordati, Signore, del tuo amore che è da sempre»!

Eccellenza Reverendissima e carissima,

credo che le parole del salmista (Sal 24) intercettino i pensieri del suo cuore, nel giorno in cui ricorda l’Ordinazione Episcopale. La saluto commosso e grato al Signore che ha dato a tutti noi, a me, la gioia di poter accogliere questo dono: da figlio prima, poi da confratello, ma sempre attingendo alla ricchezza del suo esempio che ha segnato e guidato la mia vita.

Questa gioia, oggi, mi è dato di esprimere anche a parole e ringrazio, con affetto e stima, il vescovo di Reggio Calabria, Monsignor Morosini, che mi ha sorpreso e onorato affidandomi questa riflessione: grazie, Eccellenza, per la sua fraternità episcopale; grazie per il suo ministero in questa terra che è la mia terra, in questa Chiesa che è la mia Chiesa Madre. E grazie ai confratelli Vescovi presenti che stringendosi a Mons. Monello in questo giorno esprimono il senso profondo e la bellezza dell’essere collegio, comunità apostolica, unita al Papa che ricordiamo nel suo viaggio in Cile e in Perù.

«Ricordati, Signore, del tuo amore che è da sempre»!

Dentro la maternità della Chiesa, germoglia l’eternità della vocazione: un “da sempre” incarnato nel tempo, nella storia. È la sua storia, Monsignor Mondello, vissuta nella sua famiglia, alla quale era profondamente legato, e nella sua Chiesa Madre di Messina, che ha servito inizialmente da presbitero, con vari incarichi di docenza e pastorale, poi da Vescovo Ausiliare.

All’inizio del Vangelo di Marco (Mc 1,14-20), la chiamata degli apostoli segna l’inizio della storia della Chiesa. E la sua storia si intreccia ancor più con la storia della Chiesa, è la stessa storia, da quando, 40 anni fa, lo sguardo di Gesù, come per Pietro e Andrea, ha “fatto” di lei un apostolo, «pescatore di uomini». È interessante osservare che l’espressione tradotta con «vi farò» è, in greco, un doppio verbo: poièo – fare, plasmare - e ghìnomai – diventare, generare. Da una parte sembra indicare una profonda trasformazione della persona, operata da Gesù, dall’altra una sorta di nuova nascita; entrambi i verbi, infatti, hanno a che fare con la “creazione”.

Sì, una nuova persona: ecco cosa la Consacrazione episcopale opera. E ciò che è al centro del cuore, della vita, della missione di questa nuova persona che è l’apostolo, sono gli «uomini», ogni uomo!

«Al gregge serve trovare spazio nel cuore del pastore», dice Papa Francesco. In che modo?

Vorrei rispondere come avrebbe fatto lei, Eccellenza, e prendo spunto da una meditazione che l’ha accompagnata proprio in questi giorni, nella quale il Papa indica ai vescovi tre atteggiamenti da evitare: distanza dal popolo, paura del discernimento, mancanza di “pìetas”.

Nella prima Lettura (Gio 3,1-5.10), il profeta Giona viene inviato a Ninive dove - come sappiamo - in un primo momento aveva rifiutato di andare, fuggendo lontano dal popolo e «lontano dal Signore». Non «la distanza» – osserva invece Papa Francesco – ma «la presenza! La chiede il popolo stesso che vuole vedere il proprio vescovo camminare con lui, essere vicino a lui. Ne ha bisogno per vivere, per respirare!».

Assieme alla preghiera e alla predicazione, è dunque necessaria la presenza di Giona per portare salvezza agli abitanti di Ninive. È un importante risvolto sociale del compito pastorale; un compito che lei, Eccellenza, ha incarnato con vicinanza e amore: lo possono testimoniare i fedeli ma anche i cittadini di Messina, di Caltagirone – che la ricordano con un affetto veramente profondo – e, soprattutto, di Reggio, diventata la “sua” città.

Vi è entrato sempre con equilibrio e delicatezza, con il necessario rispetto ma senza omissioni, collaborando con le Istituzioni e conservando libertà di spirito e chiarezza di parola. Ha conosciuto e portato, anche nel silenzio della sua preghiera di padre, i problemi veri del territorio: l’abbandono e lo scoraggiamento, l’insidia della criminalità organizzata e le ombre dell’illegalità e della corruzione… ma ha saputo cogliere la speciale bellezza di una città e di una Chiesa, che non smettono di risplendere nei luoghi e nei volti del popolo. Quel «popolo di Dio» che, dando voce alla ricchezza del Concilio e allo stile sinodale, lei ha saputo valorizzare come “soggetto ecclesiale”, a partire dal laicato: con la fiducia nei carismi, il sostegno delle opere, la cura educativa, particolarmente dei giovani.

E’ difficile elencare tutte le realtà promosse: mi limito a ricordare il Sinodo diocesano, straordinaria esperienza di Chiesa; l’istituzione del Seminario e l’istituto Teologico da lei fortemente voluti con profetica determinazione; la cura del diaconato permanente, l’istituzione dell’Ordo Virginum e Viduarum, il sostegno alle tante opere di carità, l’organizzazione di eventi significativi come la Settimana dei Cattolici Italiani, ....

Questo popolo noi, ministri, dobbiamo servire con «discernimento».

Ed è il discernimento il dono chiesto dal salmista, il quale prega il Signore di «fargli conoscere», «insegnare» e «guidarlo» nelle «sue vie». Una «via», quella di Dio, nella quale – commenta Ravasi - «muovono i loro passi gli umili, gli ‘anawìm, chi osserva il patto e teme Dio, ma… anche il peccatore pentito». Per tutti - il pastore deve proclamarlo come Giona - c’è sempre la possibilità di incontrare il Dio che «si ricorda» della sua «misericordia», della sua «bontà» e «indica ai poveri la via giusta».

Sì. Il discernimento è legato alla povertà e alla piccolezza, come pure alla verità e alla memoria; anche alla memoria dell’inizio, che oggi celebriamo. Perdere una tale memoria è smarrire quello che il Papa chiama, in modo stupendo, «il brivido di sapersi conosciuti da Qualcuno che è più grande e non disprezza il nostro poco, è più Santo e non rinfaccia la nostra debolezza… lasciate che tale brivido vi percorra», esclama rivolto ai nuovi vescovi, perché «il mondo è stanco di incantatori bugiardi… di preti “alla moda” o di vescovi “alla moda”… ».

È proprio vero: per essere guide nel discernimento delle vie di Dio, dobbiamo andare «dietro» a Lui; e il criterio per discernere se siamo o no sulla «via» del Signore è uno solo: «la Croce»! «Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi ma non discepoli del Signore», gridava Papa Francesco nella sua prima omelia ai Cardinali.

Oggi, Eccellenza, consegniamo all’altare del Signore anche i momenti in cui la Croce del ministero è stata più pesante: tutte le sofferenze, le prove, le incomprensioni, le sconfitte e i fallimenti che sempre accompagnano chi sa farsi discepolo per essere vero maestro. Sono qui, consacrate assieme al Pane e al Vino, e, nel Mistero Pasquale, ne hanno tutta la fecondità per la vita del gregge: quel gregge per il quale lei ha dato e continua a dare la vita con amore.

Sì, perché l’ultima tentazione che il vescovo deve evitare è proprio la mancanza di amore, di pietas.

Il racconto evangelico, se notiamo, indugia su un particolare: le «reti». Simone e Andrea le «gettano in mare», Giacomo e Giovanni le «riparano», tutti le «lasciano»; tuttavia, per diventare pescatori di uomini, una rete è necessaria. Una rete che raccoglie, unisce, vincola: ma lascia liberi!

Questa rete è la Chiesa; la comunione che è la Chiesa. E penso che al suo cuore, Monsignor Mondello, risuoni forte l’eco delle parole coraggiose di Papa Francesco quando ritiene «la povertà di comunione… lo scandalo più grande», addirittura «l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa».

Il servizio della comunione ecclesiale è stato il suo impegno maggiore, il suo più ardente desiderio. Anzitutto la comunione presbiterale, da lei paternamente e instancabilmente perseguita, con le armi della pazienza e della responsabilizzazione, con la testimonianza limpida e forte di un amore incondizionato alla Chiesa: certamente il tratto più bello e distintivo del suo ministero, dono fecondo di correttezza e fraternità fatto non solo alle sue Diocesi ma anche alla Conferenza Episcopale Calabra, da membro e poi Presidente, e a tutta la Chiesa Italiana, nel suo incarico al Consiglio Permanente della CEI.

Una rete fatta di legami nuovi, autentici, di cui il vescovo deve essere a servizio, senza cadere in «mormorazioni» o «mondanità»; una rete di cui l’uomo moderno, spesso imbrigliato nell’individualismo, nell’edonismo o nel materialismo, ha infinito bisogno.

Eccellenza, carissima, ecco ciò che il Signore ci consegna, ecco l’eredità che lei ci consegna: una rete in cui non si entra per «proselitismo» ma per «attrazione». È la rete della comunione nella Chiesa terrena che Paolo, nella seconda Lettura (1Cor 7,29-31), fa contemplare anche nella Chiesa celeste. Là ci sono i suoi cari, i pastori, i santi del quotidiano… coloro che l’hanno accompagnata nel cammino della vita e oggi con noi gioiscono, si commuovono, ringraziano e pregano.

Con loro, la affidiamo a Maria, l’amatissima Madre della Consolazione, perché la protegga assieme a questa città e al suo popolo, cantando per lei il Magnificat della memoria e della lode: «Ricordati, Signore, del tuo amore che è da sempre»!

Grazie, Eccellenza, auguri. E così sia!

* Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia

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