Avvenire di Calabria

L’inviato di Avvenire Nello Scavo analizza interessi e dramma delle migrazioni, dal passato al presente

Nello Scavo: «Vi racconto le deportazioni di oggi»

Il reporter: «È innanzitutto l’indifferenza a generare barbarie e muovere sporchi interessi»

di Davide Imeneo

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Diverse, ma simili allo stesso tempo: ad accomunare «le deportazioni di ieri e di oggi – per dirla alla Liliana Segre – è l’indifferenza che, inevitabilmente, si trasforma in barbarie». Non ci sono i “carri di bestiame”, i treni della morte, a far scalo ad Aushwitz. Ci sono altre forme di deportazione, anch’esse volute. «Avvengono sotto i nostri occhi. È documentato». A muoverle «interessi a noi in qualche modo legati e anche i nostri soldi». Nello Scavo non è certamente un giornalista di primo pelo. In prima persona ha battuto i luoghi delle sofferenze umane. Ha toccato con mano una triste realtà e l’ha raccontata attraverso le colonne del quotidiano Avvenire. Per questo ha subìto minacce, da parte di organizzazioni criminali e ma anche politici di ogni angolo del mondo. Oggi Scavo vive sotto protezione.


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«I nostri soldi, purtroppo – è la denuncia di Nello Scavo – vengono impiegati per compiere queste orribili deportazioni e foraggiare carriere politiche». È quello che succede in Libia ad esempio, «dove – afferma – l’Italia ha speso centinaia di milioni di euro, favorendo il fenomeno». Dietro, si muovono molteplici interessi. A far gola, «ai clan libici, alla criminalità internazionale, a quella maltese, e alla siciliana. Coinvolti, ci sono anche politici, gruppi finanziari, grandi petrolieri. Ed anche il traffico internazionale di droga», ancora il racconto e la denuncia di Scavo.

Quanto dolore hai visto nei migranti del nostro tempo?

Violenza e crudeltà la ritroviamo anche in Croazia nonostante sia un Paese membro dell’Unione europea. In Grecia, alcuni bambini anno perso la vita a causa dei fori praticati ai gommoni sui quali si erano imbarcati da alcuni poliziotti. I respingimenti di profughi tramite sabotaggio, sono frequenti. Così come il prezzo in termini di perdite vite umane. Le indagini in corso non hanno prodotto risultati, nonostante esistano moltissime prove documentate non solo dai racconti dei migranti, ma anche dai tanti video e fotografie realizzati durante i nostri reportage. Scene di dolore che si ripetono al confine tra Polonia e Bielorussia. Il punto è che le persone vengono viste come armi da cui “difendersi”. Questo è l’assioma che passa e il timore – come afferma Liliana Segre - di un ritorno all’Olocausto, anche se i numeri per fortuna non sono paragonabili. Il fatto che muoiano meno persone non può consolarci. È il clima di indifferenza che alimenta le barbarie. E l’indifferenza è il condimento essenziale per il piatto dell’egoismo. Il compito di noi giornalisti è prestare ascolto - come dice il Papa - alle storie che incontriamo, dando un senso anche al dolore. È anche questa denuncia.

L’occidente ha delle responsabilità nei confronti di ciò che accade nel Mediterraneo, nell’Europa dell’Est, in Africa?

L’occidente ha grandissime responsabilità: già dal momento in cui depreda i territori da cui provengono i flussi migratori. La definisco pirateria in giacca e cravatta. La maggior parte delle nostre azioni quotidiane, viaggiare o accendere i nostri smartphone o pc, dipendono dalle materie prime estratte in quei luoghi. Non sorprendiamoci poi se oggi ci sono 84 milioni di profughi di guerra. Che non è il totale dei migranti in giro per il mondo – quest’ultimo equivalente ad una nazione di 850 milioni di persone – ma persone che fuggono dai conflitti. Il Papa parla, oggi, di terza guerra mondiale combattuta a pezzi, guardando a questo stato di cose. Basti pensare a quanto potrebbe profilarsi in Ucraina in caso di occupazione russa. Le ricadute, non solo umanitarie, le si avrebbero anche sul mercato dell’energia che alimenta l’Europa e anche il nostro Paese.

La politica può fare di più?

La politica deve fare di più. Però la politica è anche espressione della volontà degli elettori i quali certamente vengono tenuti all’oscuro di tante informazioni sensibili per impedire che possano farsi un’idea compiuta su ciò che accade. Eppure le informazioni ci sono. Il buon giornalismo sopravvive e la cattiva politica anche. La politica risponde a interessi economici. In passato era l’opposto. Il concetto lo esprime bene papa Francesco quando afferma: «questa economia uccide». Nei fatti, capite bene, è la politica a farlo. Bisogna pretendere di più da chi ha in mano il potere.

L’esperienza dei corridoi umanitari è solo una soluzione di emergenza o può essere una strada?

Di sicuro è un esempio di come si possano realizzare cose concepite bene, coniugando solidarietà e legalità. Ma lo si deve fare su ampia scala. Altrimenti non ha senso far giungere legalmente, ogni anno, dalla Libia 500 migranti, mentre in migliaia rimangono nei campi di prigionia in condizioni definite dalla stessa Onu «orrori indicibili». In cui i diritti umani fondamentali sono calpestati. Prima ancora di domandarci se occorra o meno salvare persone, dovremmo chiederci perché i politici nostrani continuino a finanziare le milizie libiche che torturano e abusano di esseri umani. Fino a quando le cose andranno così, i corridoi umanitari sono come il cucchiaio che raccoglie l’oceano.

Ci racconti qualche aneddoto significativo legato proprio ad una delle sue missioni “giornalistiche-umanitarie”?

Tra le storie di dolore che ho raccontato, emergono anche storie di speranza. Nei Balcani abbiamo trovato chi, semplicemente, ha messo a disposizione la propria casa per soccorrere profughi. Il caso delle “lanterne verdi” che abbiamo scoperto ad ottobre in Polonia è diventato, invece, emblematico. Autentica testimonianza di come si possa sfidare il poter costituito, senza necessariamente compiere azioni illegali. Il promotore di questa iniziativa, l’avvocato Kamil Syller ha dimostrato, rifacendosi alla stessa legge del suo Paese, che l’accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina non abbia valore se si ospitano in casa migranti in stato di necessità. E così la decisione di accendere una “luce verde” nella sua casetta nel bosco, al confine con la Bielorussia, proprio a segnalare un luogo sicuro, è diventata subito virale.

Come è cambiata la tua vita da quando vivi sotto protezione? Cosa ha significato questo per Nello Scavo?

C’è un aspetto riservato che mantengo per me. Noi non siamo solo giornalisti. Siamo anche mariti, padri. Io ho un bambino che oggi ha dieci anni e si è dovuto abituare ad una serie di novità da quando ne aveva otto. Ho sempre avuto massima fiducia nella polizia italiana. Si è presa cura di me e della mia famiglia, cercando di garantirci una vita, quanto più possibile, tranquilla e senza troppe limitazioni.


PER APPROFONDIRE: Nello Scavo: «Essere giornalisti è una vocazione»


I cambiamenti per ci sono stati e si avvertono. Rendere conto dei propri movimenti per motivi di sicurezza è uno di questi. I primi tempi, ho temuto che tale situazione potesse in particolare condizionare il mio lavoro. Il calo di tensione da tanti sicuramente sperato, fortunatamente non c’è stato. Il mio lavoro è andato avanti. Anzi, anche più a fondo. Tuttavia non auguro a nessuno la situazione che sto vivendo, io insieme ai miei cari.

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