Avvenire di Calabria

Intervista a Nella Restuccia, responsabile del Centro di ascolto diocesano Caritas "Monsignor Ferro" di Reggio Calabria

Nuove povertà, quando la cura è l’ascolto

Non solo stranieri, anche molti italiani. Negli ultimi anni a Reggio Calabria sono sempre di più i nuovi poveri

di Francesco Chindemi

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Intercettare i bisogni e intervenire non solo attraverso azioni concrete, il Centro d’ascolto diocesano “Ferro” della diocesi di Reggio Calabria - Bova da sempre punta sulle relazioni. Negli ultimi due anni lo ha fatto ancora di più alla luce della crisi economica che nella città di Reggio Calabria ha colpito molte più persone. In occasione della Giornata mondiale per l'eliminazione della povertà abbiamo intervistato Nella Restuccia che guida il servizio: «Negli ultimi tempi - dice - vengono da noi anche tanti imprenditori costretti a chiudere a causa della crisi ancora imperante».

Povertà a Reggio Calabria, l'opera del Centro d'ascolto "Monsignor Ferro"

«Oggi c’è da fare i conti anche con le cosiddette nuove povertà». Nella Restuccia è la responsabile del Centro di ascolto Caritas “Monsignor Ferro” di Reggio Calabria, nato cinquant’anni fa per rispondere ai bisogni delle fasce più deboli della popolazione reggina.


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«Nel tempo - afferma la responsabile - non sono cambiate solo le modalità del servizio, ma anche la tipologia di persone e famiglie che si rivolge a noi. Gli ultimi due anni ne sono la prova».

Come è cambiata la povertà negli ultimi anni? La pandemia ha inciso?

Gli effetti della pandemia hanno inciso pesantemente sulla già precaria situazione economica del nostro territorio. Basti pensare che in questi ultimi due anni e mezzo è aumentato il numero di coloro che si rivolgono a noi chiedendo beni di prima necessità, per sé stessi e per le loro famiglie.

Quali le principali richieste?

Chiedono viveri, ma anche sussidi per poter pagare affitto e o bollette di luce, gas e telefono. In particolare è aumentato il numero di persone che viene da noi perché non riesce a sostenere le spese sanitarie.

Sono solo i poveri “storici”?

Purtroppo no. Alle povertà croniche di molte famiglie di etnia rom o straniere non inserite nel tessuto lavorativo, si sono aggiunti i “nuovi poveri”. Appartengono, prevalentemente, a quella categoria di persone che vivevano grazie al settore del commercio e che, a causa della cessazione delle attività o del loro ridimensionamento a causa della crisi, sono rimasti senza occupazione.

Chi sono i “nuovi poveri”?

Abbiamo ambulanti di varia nazionalità (marocchini, siriani, tunisini, indiani, pakistani), ma anche tanti italiani, fino a poco tempo fa occupati nel settore della ristorazione o anche loro titolari di attività commerciali, spinti dalla crisi e dal conseguente aumento dei costi, a dover abbassare le saracinesche. Sono precipitati in una condizione di povertà mai sperimentata prima. E non mancano casi di coniugi che lavoravano insieme o si sono ritrovati, improvvisamente, nella stessa condizione.

Nell’ultimo periodo quante persone hanno bussato alla vostra porta?

Dall’inizio di quest’anno e fino al mese di settembre presso il Centro di ascolto “Monsignor Ferro” sono passate più di cinquecento persone e abbiamo effettuato circa mille e cinquecento interventi.

Cosa chiede, per prima cosa, la gente quando si rivolge a voi?

«Aiutatemi a trovare lavoro». Ma ultimamente anche «non avrei mai pensato di dovermi rivolgere un giorno alla Caritas». È lo specchio di una realtà purtroppo ormai diffusa e che ogni giorno tocchiamo con mano. Noi ci mettiamo in ascolto dei loro bisogni. Ciò che, prima di ogni altra cosa, chi si rivolge a noi si aspetta.

La vostra risposta, invece, qual è?

Cerchiamo, innanzitutto, di aiutare la persona a superare incertezze e difficoltà, accompagnate spesso da scarsa autostima. Soprattutto in situazioni di impoverimento improvviso e imprevisto.

Con azioni concrete, quali ad esempio?

Molto proficua è stata l’esperienza dei tirocini formativi annuali avviati grazie a un progetto di Caritas italiana. Ci ha consentito di aiutare dieci persone in gravi difficoltà economiche. Per qualcuno si sono aperte prospettive concrete. Un ulteriore aiuto sono i sussidi finanziati dall’8xmille per spese legate a beni di prima necessità, come quelle sanitarie o scolastiche. Un supporto è, inoltre, l’Emporio della solidarietà “Genezareth: un riparo per la crisi”, nato nove anni fa proprio grazie a un progetto del Centro di ascolto “Monsignor Ferro”.

Cos’altro c’è da fare?

Le parrocchie sono un supporto importante per ascoltare le richieste e facilitare le risposte ai bisogni. Sono tanti i casi che ci segnalano e sui quali interveniamo. Il nostro auspicio è che si possa allargare l’attuale rete di volontari che fa già tanto, ma con l’aumento della richiesta d’aiuto in città, servono altre forze che aiutino a intercettare e ad affrontare i problemi.

L’ascolto telefonico tra le ultime novità

Una storia iniziata mezzo secolo fa, contestualmente alla nascita della Caritas di cui, proprio quest’anno, si è celebrato il cinquantesimo. In tutti questi anni, il Centro di Ascolto “Monsignor Ferro” di Reggio Calabria si è posto proprio in ascolto dei bisogni delle fasce più deboli della comunità diocesana reggina - bovese. Un esempio vivo di vicinanza concreta della Chiesa a quanti fanno più fatica: il principio guida è la relazione. Sono molte le singole storie che potrebbero essere raccontate.

Già la testimonianza di chi, da anni, dedica il proprio tempo a questo servizio è sufficiente a descriverne spirito e valori. Rimasti intatti, nonostante, in alcuni casi siano state introdotte novità operative. Tra queste c’è Ospo Web, una sorta di “banca dati” dei bisogni elaborata da Caritas italiana, divenuto utile strumento a supporto della rete tradizionale di carità costituita da Centri di ascolto, Caritas parrocchiali, mense e centri di accoglienza. Anche la pandemia ha in qualche modo condizionato i cambiamenti, seppur il servizio non è mai stato interrotto.


PER APPROFONDIRE: Povertà, Caritas reggina: «Sempre più famiglie in difficoltà»


Anzi, proprio durante il lockdown, con l’aiuto di volontari di altri servizi si è dato vita all’ascolto telefonico, attraverso turni tali da gestire le segnalazioni dei casi più gravi. Un servizio ancora oggi valorizzato, come ci spiega una delle volontarie del Centro di ascolto Caritas di Reggio Calabria, Giovanna Cordì: «Non ci occupiamo solo di concordare i primi appuntamenti. Chi ci chiama, il più delle volte, vuole sentirsi pronunciare una parola di conforto».

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