Dalla Calabria all’Africa: «L’impresa come missione»
Intervista a un giovane imprenditore originario di Taurianova che ha scommesso sul bene comune. Fra missione e testimonianza, il sogno di Kevin Pratticò è realtà da oltre dieci anni.
Il valore del sacerdozio al centro dell'omelia pronunciata in occasione della Messa del Crisma dall'Ordinario militare per l'Italia monsignor Santo Marcianò questa mattina a Roma.
«La santa Chiesa celebra la memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore comunicò agli apostoli e a noi il suo sacerdozio. È memoria liturgica; è memoriale che rende attuale il Mistero, pertanto non si riferisce solo a un avvenimento passato ma, per così dire, cresce con la nostra crescita umana e vocazionale». È quanto emerge dall'omelia, incentrata sul valore del sacerdozio oggi, che l'arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario militare per l'Italia ha pronunciato nel corso della Messa del Crisma presieduta questa mattina presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. A concelebrare l'intero presbiterio della diocesi castrense e i cappellani militari provenienti da ogni parte d'Italia.
Carissimi confratelli presbiteri, cari fratelli e sorelle, con gioia celebriamo la Messa del Crisma, alle porte del Triduo Pasquale. Se è vero che la Pasqua è il cuore di tutta la Liturgia della Chiesa, è vero che la Messa di oggi ci pone, per così dire, sulla soglia di questo “cuore”. E lo fa guardando al Mistero del sacerdozio, al dono del sacerdozio, innestato nello stesso Sacerdozio di Cristo.
Celebreremo domani la Messa In Coena Domini, l’Istituzione dell’Eucaristia, entrando nel vivo della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. E questo Mistero, se ci pensiamo, è parte del Sacerdozio di Cristo, è un atto sacerdotale del Signore Gesù, trasmesso ancora grazie anche al nostro ministero sacerdotale, che sgorga dal Suo e nel Suo si radica.
Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE
La Messa Crismale, dunque, è l’ingresso nel Mistero della Pasqua. Un ingresso che ci vede insieme, come presbiterio, il che è per noi un dono più speciale che per altre diocesi, vista la difficoltà dei nostri incontri. Grazie, cari presbiteri, perché oggi ci ritroviamo tutti. Tutti! Anche coloro i quali non possono raggiungerci a motivo di malattia, impegni, lontananza dovuta al ministero e che vogliamo ricordare con particolare affetto, assieme ai confratelli che ci hanno preceduto in Cielo e vivono nella gioia la Pasqua eterna.
Entrando in questa Pasqua, viviamo la Celebrazione di oggi come gratitudine. Una gratitudine che io per primo desidero esprimervi per quello che fate e che siete, come preti e come cappellani militari.
Al contempo, quella di oggi è una sosta che ci aiuta a riflettere assieme sul senso del sacerdozio.
Cosa chiede oggi il Signore a me presbitero? Che è come chiedersi: Chi sono io? Dove sono? A che misura arriva il mio amore per Cristo e la Chiesa?
Sono interrogativi che fanno da sfondo alle domande poste dalla Liturgia per la rinnovazione delle promesse sacerdotali. Domande al cui cuore sta l’identità presbiterale, sempre di nuovo da mettere a fuoco, per essere sacerdoti secondo il Cuore di Cristo.
Sessant’anni fa moriva un vero sacerdote secondo il Cuore di Gesù: Angelo Giuseppe Roncalli; la sua figura, lo sappiamo, riveste grande importanza per la nostra Chiesa Ordinariato Militare, ragione per cui cercheremo di ricordare adeguatamente questo anniversario, magari assieme al sessantesimo della Pacem in Terris che ricorrerà tra qualche giorno. Diventato Papa, Giovanni XXIII volle dedicare la sua seconda Lettera Enciclica, nel centenario della morte del Santo Curato d’Ars, proprio ai sacerdoti, facendo memoria del suo sacerdozio. È un documento breve, semplice, forse poco ricordato - Sacerdotii Nostri Primordia- dal quale voglio trarre alcuni punti che ben si intersecano con la Liturgia di oggi e ai quali fa eco una Lettera ai sacerdoti di Papa Francesco, nei 160 anni dalla morte di San Giovanni Maria Vianney. Ascesi e gratitudine, Preghiera e coraggio, Zelo pastorale e dolore, Unità e lode
La Messa Crismale è anzitutto un “fare memoria”; attinge ai ricordi ma anche a tutto il disegno di Dio sulla nostra vita. Mi piace pensare che non siamo solo noi a far memoria: è Cristo a far memoria con noi e per noi, ricordando il sacerdozio di ciascuno.
La santa Chiesa celebra la memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore comunicò agli apostoli e a noi il suo sacerdozio, dicono le parole introduttive alle interrogazioni. È memoria liturgica; è memoriale che rende attuale il Mistero, pertanto non si riferisce solo a un avvenimento passato ma, per così dire, cresce con la nostra crescita umana e vocazionale.
Giovanni XXIII inizia la sua Lettera enciclica sull’onda della memoria; ricorda le «primizie» del suo sacerdozio, toccate profondamente dall’esempio del Santo Curato d’Ars. Un esempio la cui prima sfumatura è l’«ascesi». E l’ascesi, in realtà, altro non è se non una crescita, una salita verso quella «santità di vita» per il raggiungimento della quale la stessa «pratica dei consigli evangelici», seppur non «imposta», si presenta tuttavia come «via regale».
L’ascesi di una povertà che esige che il prete abbia «il cuore libero» per «aprirsi alle miserie degli altri»[2] e, come Papa Giovanni scrive richiamando San Beda Venerabile, «non serva Dio» per il denaro «né rinunzi alla giustizia per timore della povertà». Di una castità che aiuta a donarsi al Signore nell’unica maniera ritenuta possibile da San Giovanni Maria Vianney: «darsi interamente». Di un’obbedienza che permette ai «sacerdoti di sviluppare in sé il senso filiale della loro appartenenza alla Chiesa, nostra Madre».
È l’ascesi della nostra vita concreta, quotidiana, che non nasce da una disciplina imposta ma da un cuore grato. Nella “memoria del cuore” che è la gratitudine, l’ascesi abita lo spazio della gioia per la bellezza del dono ricevuto, la cui custodia ci vuole sempre più poveri perché ricchi; casti, perché traboccanti di amore; obbedienti perché liberi.
E allora grazie, Signore, per il dono della vocazione. Grazie perché lo sai tessere nelle nostre vite, con la delicatezza di un ricamo di cui, a volte, riusciamo a vedere solo il rovescio ma in cui Tu, dall’alto, contempli il Tuo disegno di amore nella nostra vita; Tu che di essa, come dice l’Apocalisse (Ap 1,5-8), sei «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene». Grazie per ogni punto di questo ricamo, per ogni Eucaristia celebrata, magari in fretta, ma che sempre Ti ha reso presente e ci ha conformati a Te; per la Grazia della Confessione elargita e vissuta, balsamo per tutte le ferite umane, anche le più pesanti; e grazie per le nostre ferite, le fragilità che Tu riprendi e prendi su di Te. Grazie per la Tua Parola, lampada del cammino, nei sentieri dolci che conducono ai fratelli o nei tornanti duri, quando il buio del cuore ci chiude nell’accidia o nella tentazione di cedere alla notte. Grazie per il dono del presbiterio, che oggi riempie questa Basilica e i nostri occhi; per i confratelli che non abbiamo scelto ma che Tu hai scelto per noi, affidandoci reciprocamente le nostre vite.
Grazie per il popolo che ci hai affidato, per i nostri militari, la cui sete di infinito ci deve inquietare e la cui fede, talora più forte della nostra, ci deve risvegliare, nel rinnovare le promesse. Rinnovare non è “ripetere”; è “rendere nuovo”, aggiungendo, di anno in anno, ricordi a ricordi, memoria a memoria, vita alla vita. E svegliarci è ritrovare la Tua Fedeltà che non si è mossa dalle notti della vita, l’Amore di un Padre che fa riaprire gli occhi nella gioia. Donaci, ti preghiamo, quella che Papa Francesco chiama: «“la memoria deuteronomica della vocazione” che ci permette di ritornare a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. È da quella scintilla che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle. Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona e mite».
È la gioia di una vita di «preghiera». Pensando al Santo Curato d’Ars, Papa Giovanni spera che «tutti i sacerdoti» si lascino «convincere» non solo «della necessità di essere uomini di preghiera» ma «della possibilità di esserlo, qualunque sia l’aggravio talora estremo delle occupazioni del loro ministero».
E’ importante pensare che la preghiera, fondamentale ma spesso rincorsa nei nostri attivismi e affanni, sia sempre possibile, se solo la desideriamo. E oggi rinnoviamo questo desiderio profondo, coinvolgente, rispondendo alla domanda: Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa?
Nella preghiera, il fuoco dell’amore di Cristo ci consuma in una quotidiana e feconda rinunzia a noi stessi e ci spinge verso gli altri, nel dono totale a Lui che si rinnova e si accresce in ogni Eucaristia.
Con intensa sollecitudine Papa Giovanni si domanda e ci domanda: «Non è forse per non aver compreso lo stretto legame e quasi reciprocità che unisce il dono quotidiano di se stesso all’offerta della Messa, che certi sacerdoti sono giunti poco alla volta a perdere la “prima caritas” della loro Ordinazione?».
Sì, cari confratelli: dire “chi sono?” è dire “come celebro l’Eucaristia?”. Dovremmo crescere in una tale consapevolezza, per unirci oggi di nuovo intimamente al Signore Gesù, rinnovando il «primo amore» della consacrazione e alimentando «il nostro coraggio sacerdotale, frutto soprattutto dell'azione dello Spirito Santo nelle nostre vite», dice Papa Francesco.
Allora donaci, Signore, la percezione della grandezza dell’Eucaristia che celebriamo e la perseveranza di celebrarla ogni giorno. Donaci il coraggio nella preghiera: un coraggio necessario a stare con Te nel Getsemani dei nostri dolori, fallimenti, difficoltà, rifiuti, accidie; un coraggio consapevole che Tu stesso, come per Pietro, preghi per noi, perché non venga meno la nostra fede. E donaci una preghiera coraggiosa, che sa fidarsi ma sa chiedere: con la semplicità di un bimbo e con l’audacia di un cuore consacrato con l’unzione (Is 61,1-3.6.8b-9) come il Tuo (Lc 4,16-21), che chiede per sé e per i fratelli.
Nella preghiera per il popolo è nascosto «il segreto dello zelo pastorale» del sacerdote, che Papa Giovanni ci aiuta a sintetizzare in due aspetti: il senso di «responsabilità» per la «salvezza delle anime», fino al martirio della sopportazione; la carità «nei riguardi di coloro per cui deve rispondere davanti a Dio e per cui Cristo è morto!».
Che bello rileggere queste parole avendo dinanzi agli occhi i volti e le storie concrete dei militari che siamo chiamati ad accompagnare, come pure le fatiche, le incomprensioni e i rifiuti del nostro ministero!
Nel promettere di lasciarci guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i nostri fratelli, rinnoviamo la gioia dell’essere dispensatori dei misteri di Dio e di adempiere il ministero della parola di salvezza sull’esempio del Cristo, capo e pastore.
Per questo donaci, Signore, la dedizione del Curato d’Ars al Sacramento della Riconciliazione, nella gioiosa certezza che, come dice Papa Francesco, «attraverso gli scalini della misericordia possiamo scendere fino al punto più basso della condizione umana – fragilità e peccato inclusi – e ascendere fino al punto più alto della perfezione divina».
«Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza”», canta il Salmista (Salmo 88). È il canto di cuori che, nel dolore, in ogni dolore umano, hanno toccato il mistero della misericordia, grazie al ministero sacerdotale e alla «paternità spirituale che sa piangere con coloro che piangono».
È un canto di lode che mi piace immaginare sulle labbra della nostra gente, dei nostri militari. Giovanni XXIII invita a «pregare per i sacerdoti e contribuire, per quanto possibile, alla loro santificazione». È quanto chiede ai fedeli la preghiera che accompagna le interrogazioni: E ora, figli carissimi, pregate per i vostri sacerdoti… e pregate anche per me.
In un tempo in cui vediamo il sacerdozio ancora minacciato da persecuzioni, violato da scandali, offeso da calunnie, emerge più luminoso il bisogno che voi, cari fedeli, preghiate per i vostri sacerdoti e che noi sacerdoti preghiamo gli uni per gli altri: una preghiera che tutti ci guarisce e tutti ci unisce.
«Gli occhi di tutti nella sinagoga erano puntati su di Lui»: come quello di Cristo, il nostro sacerdozio è guardato dal mondo, che vuole vedere in esso il riflesso del Padre; e, come il Suo, il nostro sacerdozio può diventare punto in cui convergono tutti gli sguardi. Il sacerdote è strumento visibile di unità nel Mistero della Chiesa-comunione, amata come sposa. Una sponsalità che risplende in Maria, Madre della Chiesa, Madre di Cristo e nostra Madre.
Signore, Maria è Madre della nostra esistenza sacerdotale, del nostro amore tenero e forte alla Chiesa, della lode grata a Te che ci vuoi Tuoi sacerdoti. «Lei, donna dal cuore trafitto (cfr. Lc 2,35) ci insegna la lode capace di aprire lo sguardo al futuro e restituire speranza al presente. Tutta la sua vita è stata condensata nel suo canto di lode (cfr. Lc 1,46-55), che anche noi siamo invitati a cantare come promessa di pienezza».
PER APPROFONDIRE: La reliquia del Beato Livatino in Peregrinatio al Comando della Finanza, Marcianò: «Il suo sacrificio esempio d’amore»
Donaci di accoglierLa ogni giorno nella nostra vita e di entrare assieme a Lei, con il coraggio di sentirci conformati a Te, nel Mistero della Tua Passione e Morte. Ti incontreremo così assieme a Lei il mattino di Pasqua, portandoTi la gratitudine e lo stupore per il nostro sacerdozio: dono che ci supera e che vogliamo rinnovare, con la Luce e la Forza della Risurrezione. Grazie di nuovo a ciascuno di voi, cari confratelli. Così sia! E buona Pasqua di cuore.
*Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia
Intervista a un giovane imprenditore originario di Taurianova che ha scommesso sul bene comune. Fra missione e testimonianza, il sogno di Kevin Pratticò è realtà da oltre dieci anni.
Dalle prime trasmissioni sperimentali alla digitalizzazione odierna, il giornalista di Radio Vaticana analizza i cambiamenti e le sfide della radiofonia e della comunicazione.
Elisa e Nuccio Vadalà raccontano l’esperienza del laboratorio che a Reggio Calabria offre opportunità concrete a giovani con deficit intellettivi o relazioni